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domenica 30 giugno 2013

Lo strano destino dell'ex Isola del Diavolo

Ci sono voluti  più di quindici anni, per avere una nuova Casa del Parco nell’ex Isola del Diavolo. Forse non tutti i miei lettori ricorderanno che così battezzata era l’ “isola piatta” dei Romani. I quali le affibbiarono il nome di Planasia, alludendo appunto alla sua configurazione morfologica. E tale è rimasta per secoli. E non solo. Legata a lei è anche il destino che, sempre nel tardo periodo imperiale romano, le fu attribuito dopo che venne relegato in una “prigione d’oro” il nipote di Augusto, Marco Vipsanio Agrippa Postumo, morto giovanissimo in circostanze poco chiare, perché non coltivasse ambizioni di successione sull’impero più grande del Mediterraneo.  Perla del Tirreno, dunque. Ma anche luogo di reclusione, che ha mantenuto fino a quando le quattro sue principali sessioni che componevano la colonia agricola carceraria (e una di esse di massima sicurezza) non vennero definitivamente chiuse nel 1998 e mai più riaperte, eccetto qualche sparuto allarme che poi cadeva nel nulla di fatto. Dopo 140 anni di carcere duro per taluni, meno per altri che si dedicavano alla pastorizia e alla coltivazione dei campi, Pianosa diventava così “un’isola civile”, nel senso che era restituita alla comunità isolana prima e continentale poi. Tutti salutammo l’evento con grande partecipazione, perché finalmente cadevano i visti, i controlli sugli imbarcaderi di Piombino e poi, raggiunta l’Isola, sul pontile del Teglia, insomma niente di tutto questo e, per un attimo credemmo che quanto aveva sperato e annunciato anni prima Gin Racheli, naturalistica, storica e costante ambientalista, nei suoi celebri libri aveva annunciato, sperando che dall’isola fosse tolta definitivamente quella cappa di piombo che faceva in grigiore qualsiasi contorno e qualsiasi altra bellezza naturale.
Evidentemente ci sbagliavamo. Perché quello che avevamo da tempo desiderato, il rilancio culturale dell’Isola, la sua scoperta e valorizzazione delle sue eccellenze che la pungono al centro del Mediterraneo (pensate, amici lettori che effetto strano un’isola completamente piatta! È come se il fondale marine, per sue interne ragioni che adesso non starò qui a spiegare sia stato “spinto” da forze interne titaniche e sia stato fatto affiorare sopra il livello del mare fino a venti metri e passa). Un laboratorio vivo, per studiare i moti del nostro pianeta, senza pensare poi alla storia dell’uomo, i suoi primi abitatori quando la piattaforma era collegata con il continente e il mare molto più basso dell’attuale livello; quindi la storia antica che accennavo sopra, con il destino dei Romani così bravi nel fiutare l’aria e capire il futuro delle cose, poi i cristiani mandati a scavare nelle miniere di tufo e così via nel corso del tempo. Una grande occasione per ritenere libera Pianosa. Invece non è stato così. Il Parco nazionale se l’è inglobata completamente, il che non è un male, se di conseguenza non si fosse pensato a un suo riutilizzo, come impiegarla, come valorizzarla. Ed è proprio su questo tema che si apre un nuovo capitolo, perché è sì il parco responsabile della sua gestione, ma c’è anche il comune di Campo che ne rivendica la sovranità almeno in quelle aree che non rientravano nel perimetro della colonia agricola. Un ping pong di competenze, di responsabilità che è durato anni. Non è che non ci siano stati piani e progetti di rilancio di quest’isola e della sua economia. Ne ho letti parecchi e tutti di pregevole fattura; ma quanti ne ho visti realizzati? Forse più spreco, che realizzazioni, come la bellissima caserma dei carabinieri (ma non poteva essere usata in altra maniera quella struttura?). Adesso arriva la nuova Casa del Parco: che si finalmente arrivata una nuova stagione?


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