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venerdì 2 febbraio 2018

Storia di un brigante



Il brigante Guazzino (al secolo Antonio Guazzini), originario di Casacce Sinalunga (Siena), non è così famoso come il ‘Passator cortese’ (Stefano Pelloni, figura leggendaria della Valmarecchia di Romagna) immortalato da Giovanni Pascoli in una sua famosa lirica e da Garibaldi come bravo italiano che sfida i dominatori, ma anche il senese, ai suoi tempi, è stato un fuorilegge temuto nel Granducato di Toscana, se per eseguire la condanna a morte sulla forca, cui fu condannato dal tribunale il 22 febbraio 1817 per omicidio e grassazione, fu chiamato a Firenze dallo Stato Pontificio un professionista in termini assoluti, quel tal mastro Titta, “er boia de Papa-re” (all’anagrafe romano rispondeva al nome di Giovanni Battista Bugatti), dall’alto delle sue 514 sentenze di morte eseguite in quasi 70anni d'attività. Così celebre mastro Titta, da essere perfino interpretato da Aldo Fabrizi nelle prime edizioni del ‘Rugantino’. Due big, insomma: uno il carnefice, l’altro il bandito. Guazzino assaliva le carrozze e terrorizzava i viaggiatori che si spostavano da una città all’altra in questa parte della Toscana. Titta li consegnava invece alla giustizia divina. Due vite che a un certo punto s’incrociarono: il primo, ladro conclamato. Il secondo, carnefice. Due storie che s’incastrano perfettamente, trovando l’una ragion d’essere nell’altra. Comunque sia, sarebbero finite nell’alveo delle infinite vicende giudiziarie ottocentesche che hanno caratterizzato l’Italia preunitaria, se un personaggio non le avesse tenute insieme e ce li avesse tramandate. Parliamo di Sandro Foresi, letterato elbano di raffinata e profonda cultura, poeta lui stesso, personaggio eclettico, amante dell’arte tout court con la passione del collezionismo. Aveva un fiuto particolare nel selezionare gli oggetti. Raccoglieva soltanto ciò che gli trasmetteva particolari emozioni e sensazioni forti. E dovette avvertire un sentimento del genere, quando si trovò di fronte al crocifisso (alto non più di 25 cm) che gli mostrò l’amico pittore Emilio Lapi. Non tanto per il simbolo in sé, quanto per la storia che era legata a esso. Il pittore fiorentino gli confessò di averlo ricevuto da un frate, quel tal padre Bernardino dell’oratorio che era nei pressi di ponte alla Carraia. Il religioso era solito accompagnare i condannati a morte dalle prigioni granducali, dove erano stati alloggiati immediatamente dopo il pronunciamento del tribunale, fino al patitolo di Porta alla Croce, esattamente al centro dell’odierna piazza Beccaria, dove attualmente si trovano le isole pedonali. Questo piccolo crocefisso fu porto al condannato. Che era appunto Guazzino, pochi istanti prima che mastro Titta infilasse al collo del disgraziato la corda con il nodo scorsoio. Fin qui niente di eccezionale; anzi uno spettacolo abbastanza consueto, se non fosse per il fatto che Guazzino fu l’ultimo a esalare il respiro dalla forca. Dopo di lui infatti, il governo granducale optò per la decapitazione, più istantanea e meno dolorosa. Come si sa il Granducato abolì la pena di morte il 30 novembre 1786, per poi reinserirla nel 1790 per i cosiddetti crimini eccezionali; infine l’abrogò definitivamente il 30 aprile 1859, alla vigilia del referendum che sanciva l’unione della Toscana al neonato Stato Italiano. Quindi Guazzino fu l’ultimo a subire le sofferenze dell’esecuzione capitale e per questo che Mario Foresi chiese e ottenne il crocifisso, al quale si premunì di dotarlo di un piedistallo. Sotto di esso di sua mano scrisse come, quando e da chi l’aveva avuto. Era l’anno 1888. E mentre mastro Titta, grazie alla sua conclamata abilità in ogni genere di supplizio dalla mazzola, allo squarto, alla forca per finire alla ghigliottina, indossando sempre una tunica e cappuccio rosso quasi fosse un attore teatrale, si trasformò in personaggio leggendario, Guazzino invece non è andato oltre a uno sbadito ricordo di storia, sia pur contribuendo con le sue imprese a creare attorno alla figura del brigante, nei molti scritti post-unitari, quell’alone romantico di generoso ribelle, eroe di protesta individuale e disperata contro gli oppressori. In conclusione, un altro reperto storico conservato in una teca nel deposito della Foresiana, a dimostrazione del fatto, qualora ce ne fosse bisogno, di quanti tesori nascosti si trovino in quelle stanze.