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domenica 30 gennaio 2022

Giuseppe Cecchini, "Ho visto la morte in faccia"


 Chi si ricorda più all’Elba (esclusi familiari e una ristretta cerchia di amici) di Giuseppe Cecchini, classe 1904? E dell’impresa di cui si rese protagonista nell’ultima guerra? Un eroe sconosciuto a tutti gli effetti. Né sarebbe stata tramandata la frase pronunciata così perentoriamente davanti al plotone d’esecuzione tedesco da scoraggiare il tenente nell’impartire l’ordine di sparare su un campione di folla inerme, sequestrata a caso e schierata a titolo dimostrativo sul sagrato della chiesa di Sant’Andrea di Castiglioncello del Trinoro, nel comune di Sarteano tra Siena e Arezzo, se nessuno l’avesse riportata. “O tutti, o nessuno!”, gridò Giuseppe Cecchini, in quell’assolata mattina del 14 giugno 1944. E il miracolo incredibilmente avvenne. Si abbassarono le canne dei MP 38. Le mitragliatrici tacquero, immerse in un silenzio surreale. E tutto il paese fu salvo. Se oggi rivive nel senese il ricordo di quei fatti, lo si deve a una pagina ingiallita di un’agenda. L’ha vergata un prete, testimone oculare; anche lui sopravvissuto. Don Enrico Bellucci, parroco di Castiglioncello, dopo essersi ripreso dall’aver visto la morte in faccia, affidò al diario l’impresa del soldato semplice elbano. Nulla poté invece per due ragazzi, Amerigo Bai e Quirino Salvadori, che persero la vita in quella terribile giornata, sotto le pallottole naziste. I loro nomi sono incisi in una lapide, sotto la quale ogni anno, il 16 giugno, si ripete la commemorazione. Scarne ed essenziali le notizie sulla vita di Giuseppe Cecchini. Si sa che era nato a Rio Marina il 10 ottobre. All’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto 40anni. Prestava servizio come soldato semplice a Castiglioncello. Maledettamente proprio su quella linea immaginaria che attraversa gli Appennini, passata alla Storia come ‘Linea Gotica’ che divideva in due l’Italia. Nelle intenzioni del comando germanico lungo questo fronte si sarebbe dovuta ricompattare la Wehrmacht, dopo che gli alleati erano entrati a Roma il 5 giugno 1944. La manovra, secondo il generale tedesco del fronte sudovest Albert Kesselring, doveva essere una ‘ritirata combattuta’, allo scopo di permettere il rafforzamento della linea degli Appennini. I tedeschi erano dichiaratamente sulla difensiva, occupati su due fronti. Davanti avevano gli alleati che risalivano passo passo la Penisola. Alle spalle, sulle montagne, erano attaccati invece da brigate partigiane. Un cocktail perfetto, che farà montare all’inverosimile la rabbia e il furore assassino teutonico. È quanto stava per abbattersi su Castiglioncello. A questo destino, purtroppo, non si sottrarrà, quasi un mese dopo, la popolazione di Sant’Anna di Stazzema, sempre sull’Appennino toscano, dove furono passate per le armi 560 persone fra vecchi, giovani, donne e bambini. Giuseppe Cecchini parlava perfettamente la lingua tedesca, dato che era stato in Germania e vi aveva lavorato per diversi anni. Però prima dello scoppio della guerra e dell’entrata nel conflitto mondiale dell’Italia, Giuseppe era rientrato all’Elba. Si era arruolato nell’esercito Italino, finendo con l’essere impiegato con il suo reparto a Sarteano.. “Nonostante che all’epoca dei fatti fosse padre di 5 figli, Plinio (mio cognato), Vilmano, Vito, Ivano e Lorena – dice Rocco Zoccoli, presidente della sezione provinciale dei Bersaglieri – di fronte a quella particolare circostanza Giuseppe non si tirò indietro, lui che era una persona sì semplice, ma anche coraggiosa e di temperamento, come sanno esserlo gli elbani. Sentiva dentro che doveva fare qualcosa di fronte a cotanta tracotanza, come se una voce interiore glielo comandasse. Allora si mise anche lui difronte al plotone di esecuzione, urlando quella famosa frase che il sacerdote di Castiglioncello puntualmente annoterà sul diario. Con il suo comportamento salvò tutti dalla fucilazione, compreso suo figlio poco più che adolescente”. Se l’Elba non sa nulla del ‘suo’ eroe sconosciuto, altrettanto non si può dire degli abitanti di Castiglioncello. Che, esattamente un anno dall’accaduto, murarono un marmo. Dove si legge: “Il popolo di Castigliocello/ festeggia ogni anno/ il 16 giugno 1944/ e grazie renderà a Dio per averlo salvato/ quando la ferocia tedesca si scatenò sul paese/ scolpiti nell'anima porterà i nomi/ di/ Bai Amerigo e Salvadori Quirino/ vittime innocenti di quel giorno/ riconoscente affetto serberà all'interprete/ Cecchini Giuseppe/ che con coraggio e fermezza/ si adoprò per limitare/ l'ingiusto e barbaro eccidio”. E poi, ogni anno, presso questo borgo sulla Val d'Orcia, si ripete la cerimonia commemorativa di quella giornata promossa dall’amministrazione di Sarteano, in collaborazione con la sezione Anpi. E in uno di questi tradizionali appuntamenti si sono ritrovati con qualche ruga in più sul viso Dino Salvadori e Vilmano Cecchini, figli rispettivamente di Quirino Salvadori, una delle vittime e Giuseppe Cecchini, il soldato elbano che eroicamente si fece da interprete per fermare l'eccidio. Cecchini riuscì a spiegare che quelli che stavano per essere fucilati non erano altro che civili inermi e innocenti. Non c’era alcun rischio che fra questi si nascondesse qualche ‘bandito’ (come i tedeschi battezzarono i partigiani). Ivano Cecchini, l’unico dei 5 fratelli morto, tornò durante una ricorrenza a Castiglioncello. Dopo quasi settant’anni, i due bambini di allora si ritrovarono faccia a faccia. Il figlio della vittima e il figlio dell’eroe isolano. “Mi piacerebbe fosse ricordato anche qui con una semplice cerimonia – dice ancora Zoccoli - Magari coinvolgendo i sindaci di Rio e Portoferraio, visto che per 40 anni risiedette alla Sghinghetta. Credo e spero – conclude - che qualcosa si muoverà”.