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sabato 25 novembre 2017

La cittadella sotterranea

La chiamano, semplificando molto e accorciandone il nome, Cittadella sotterranea. Altri non è che il deposito di nafta e carburante della Regia Marina Militare Italiana, realizzato negli anni Trenta nei sotterranei delle fortezze mediceo-lorenesi di Portoferraio. Serviva, soprattutto durante l'ultimo conflitto mondiale, come base di rifornimento alle navi da guerra di stanza a La Spezia e Genova che operavano sul quadrante Alto Tirreno. Facevano scalo alla punta del Gallo incrociatori, mas, dragamine e pure sommergibili, per riempire i loro depositi e partire per le loro missioni militari, come si conveniva all'Elba che il regime fascista battezzò “sentinella avanzata dell'Impero”, essendo l'Isola l'ultimo avamposto italiano di fronte alla Corsica francese. Vi era annessa una caserma militare, che all'epoca era abitata da circa 250 persone fra ufficiali, sottufficiali e soldati. La struttura era stata ricavata sfruttando quello spazio che era stato previsto dall'architetto Camerini, l'ideatore e il progettista della Città di Cosmopoli, nella prima decade del Cinquecento. Successivamente l'architetto Pier Luigi Nervi intervenne, per realizzarci questa importante base logistica della Marina miliare, come ancor oggi la si può ammirare. Parliamo di una superficie pari a circa 25 metri quadrati, che, insieme all'area fuori terra (circa 45 mila mq), ricadeva sotto il
presidio militare. In seguito, però, allo scandalo relativo alla vendita illegale dei residui di carburante rimasti ancora nei depositi (nafta pesante), il Comando dell'Alto Tirreno decise, nel 1982, di chiudere l'entrata all'impianto sotterraneo, lasciando a guardia dello stesso e dell'area fuori terra solo personale civile con il compito di ottemperare all'ordinaria manutenzione. Così è rimasto fino ai giorni nostri. Fino a quando un gruppo di volontari di Portoferraio (lo stesso che lavora gratuitamente per la cura del territorio e il decoro del verde pubblico), insieme con gli operai della società partecipata Cosimo de' Medici che hanno pensato a ripulirla, non ha organizzato una visita al suo interno. Vi hanno partecipato una sessantina di persone che hanno visionato per due ore e più l'intero dedalo di sotterranei da forte Falcone alla punta del Gallo. Il gruppo di volontari di Portoferraio (che era diretto da Vincenzo Fornino) ha visto camerate, depositi, sistemi di controllo, centraline telefoniche e quant'altro. Tutto (o quasi) ancora come è stato abbandonato. Degli apparecchi telefonici che esistevano in diversi comparti ne sono rimasti pochi. Qualcuno, notte tempo, non ha trovato di meglio che staccarli e portarseli via. E' vero anche che ci ha messo gli occhi sopra la cooperativa Arcipelago Toscano, di cui è presidente Carlo Bensa. L'associazione vorrebbe recuperare l'intero sistema, per farlo diventare un punto nevralgico e meta per visite di studiosi, per farlo diventare un punto nevralgico e meta per visite di studiosi, ospiti o semplici curiosi che desiderano prendere contatto con i luoghi che hanno scritto la storia contemporanea sulla maggiore isola della Toscana. Però se ne parla dall'estate 2013, senza riuscirne a venirne a capo.




sabato 4 novembre 2017

Agorà si collega con Rio Marina e Rio nell'Elba

Con ancora fresco nella mente il collegamento trasmesso da “Agorà” su Rai3 da Rio Marina e Rio Elba e soprattutto dopo aver sentito le battute ironiche della giornalista Irene Benassi e dello studio di Roma, in merito al prossimo Referendum indetto dalla Regione sulla riunificazione delle due municipalità di Rio (la Marina di Rio ha raggiunto la sua autonomia nel 1881, staccandosi da una costola da Rio Castello), si deve prendere atto che il clima sul versante orientale dell'Isola non è sereno. Affatto. In un certo senso come fu all'epoca in cui ci fu la divisione. Oggi, come allora, a Rio Castello gli animi sono accesi. Irosi. Non disposti ad accogliere qualsiasi compromesso che ne cambi lo 'status quo'. I Castellani attaccati, ancorati ai propri privilegi. In più sospettosi che, qualora si procede alla unità dei due Rio, chi è destinato a perdere le proprie prerogative sia proprio il colle, rispetto alla piaggia, più numerosa per abitanti e anche più propositiva in termini di imprenditoria privata e pubblica. La parte del brutto anatroccolo sarebbe, comunque destinata a Rio Elba. Ragion per cui, non si metta mano alla “rivisitazione” del Comune. Così la pensano i sostenitori del No. Ognuno deve stare padrone in casa propria, dicono. Strano, ma è lo stesso copione (naturalmente a parti invertite, perché allora ci si staccò, mentre oggi c'è la volontà di riunirsi in un unico ente pubblico), meglio dire atteggiamento di oltre cent'anni fa, quando allora la classe dirigente di Rio Castello, costituita prevalentemente da borghesi e ricchi possedenti terrieri, si arroccò nella decisione di non concedere l'autonomia (poi invece ottenuta) agli abitanti della piaggia, formata da padroni marittimi e imprenditori, arrivando anche a veri e propri tumulti di piazza. Due partiti, due posizioni contrapposte, che hanno fatto dichiarare nella trasmissione di Agorà a Senio Bonini, elbano di nascita, quindi conoscitore della storia locale, “Sia quelli del coccolo in su, sia quelli del coccolo in giù, sono tutti riesi”. Come dire caparbi. Irriducibili. Insomma al colle si ha paura di perdere la propria identità. Ecco come riassume la situazione Pino Coluccia, ex sindaco di Rio Elba .e oggi sostenitore del No: se vince il Sì Rio perderà i suoi patroni Ss. Giacomo e Quirico martire; non ci saranno più lo stemma e il gonfalone; non si avranno più il sindaco e le risorse per il territorio; Rio Elba perderà gli uffici comunali, la banca e la posta, come pure le scuole; e vedrà compromesso il valore patrimoniale.
I fautori della riunificazione si fanno forti invece del fatto che gli incentivi statali sono molto rilevanti. In termini pro capite si parla, in 12 fusioni su 15 del contributo che oscillerebbe tra 100 e 180 euro. Nelle realtà più piccole, come quella isolana appunto, si supererebbero addirittura i 400 euro. Per favorire i percorsi di fusione, la legge di bilancio 2017 dello Stato ha innalzato gli incentivi (per un periodo di dieci anni), portandoli dal 40 al 50 per cento dei trasferimenti statali, con una soglia massima di 2 milioni di euro. Ma non bastano gli incentivi economici, per ristabilire l'armonia tra le due Rio. In un certo qual modo gli amici di Rio Castello hanno ragione di essere titubanti. Non sanno, per esempio, quale sarà l’idea progettuale per il nuovo comune. Quali saranno le iniziative da sviluppare insieme, rese possibili solamente dall’unione delle forze. Tutti quesiti cui si doveva rispondere. Che, comunque, compongono l’oggetto del percorso di partecipazione, fondamentale, per raccogliere e consolidare il consenso. Siamo tutti convinti che serva una spinta riformista maggiore da parte dello Stato, per accelerare il percorso di riorganizzazione delle istituzioni locali. Qui all'Elba, come altrove. Incentivi a parte, il consenso locale va costruito con un’importante operazione culturale, condotta su base locale e nazionale.

venerdì 6 ottobre 2017

Quel mistero dello scheletro ritrovato a San Giovanni

Portoferraio (Isola d'Elba) - E lo scavo archeologico di San Giovanni alla fine, dopo cinque campagne già effettuate, ha restituito anche i resti di un corpo umano. Non solo dolia, dunque.
Uniti a frammenti di materiale edile appartenuti alla villa rustica romana (attorno al 100 a. C.) .
«Ora ci scappa pure il morto – ironizza Franco Cambi docente di archeologia presso l’Università di Siena e principale ideatore dello scavo nel podere della famiglia Gasparri – Oggi come oggi è prematuro azzardare qualsiasi ipotesi. Non sappiamo neppure se si tratta di un corpo maschile o di una donna. Lo si capirà quando riusciremo ad andare avanti nel recupero e potremo arrivare al bacino».
Per prime sono state portate alla luce le ossa degli arti, le gambe e le braccia stese. «Da quello che ci è dato sapere – continua ancora il docente universitario originario dell’Elba – non doveva essere molto alto. Ci troviamo di fronte a un individuo di circa un metro e 50 centimetri circa. Attorno non è stato ancora rinvenuto nulla di interessante».
Il ritrovamento di un cadavere sepolto fra i resti di quella che a tutti gli effetti appare come una villa di campagna franata per un grande incendio che l’ha devastato definitivamente (la villa fu dopo questo periodo abbandonata per sempre) è davvero eccezionale, considerato che una scoperta del genere non era mai stata effettuata nei precedenti scavi nel podere di San Giovanni. Ciò è stato possibile anche grazie all’apporto delle nuove tecnologie impiegate in questo scavo, fra queste il magnetometro, lo strumento che è in grado di misurare il campo magnetico di una particolare area destinata alla ricerca.
«Morto a causa del crollo della villa e sepolto tra le macerie? Non mi sentirei di affermare una cosa del genere – continua sempre Franco Cambi – Può darsi che la datazione della morte sia da riferirsi a qualche decennio dopo l’evento disastroso. L’uomo è morto e sepolto tra le rovine della villa rustica. È stato adagiato in una piccola fossa e neppure tanto profonda. Nessun altro ornamento funebre. Tutto ci lascia pensare che siamo dinanzi a un individuo di bassa condizione sociale».
Come è stata rinvenuta la tomba così estemporanea e anche abbastanza improvvisata, creata sul momento, ci fa pensare a un evento abbastanza circostanziato e dettato dalla necessità di non avere molto tempo a disposizione per curare ulteriormente i resti di un uomo.
Come se gli altri componenti del gruppo al quale il defunto apparteneva avessero urgenza di recarsi altrove e di lasciare quel luogo. In fuga da chi o da che cosa? Oppure non disponessero di altre risorse. Una buca poco profonda. E gettati sopra il corpo rottami di costruzioni, crollati (questi sì) per effetto di un disastroso incendio. Intanto sono iniziate le analisi dei resti che potranno fornire altre e più interessanti informazioni.
«Sapevamo che la villa rustica era abitata – conclude Franco Cambi – Ora ci troviamo dinnanzi a questo recupero, che però non sconvolge affatto le tesi che avevamo redatto attorno a questo insediamento rurale romano di San Giovanni. Semmai lo arricchisce». (da "Il Tirreno" di Livorno)


domenica 24 settembre 2017

La ministra Pinotti sale a bordo della Vespucci

Quella che doveva essere una visita al di fuori del protocollo istituzionale, è finita per rivelarsi un segreto di Pulcinella. Ci riferiamo alla venuta all'Elba del ministro della Difesa Roberta Pinotti, compiuta il 22 settembre scorso. Non era stato dato l'annuncio agli organi di stampa. Tutto doveva doveva avvenire nel più stretto riserbo, per ragioni di sicurezza nazionale. Doveva essere una sorpresa, benché settimane prima un grosso elicottero della Marina militare avesse sorvolato da vicino Portoferraio e compiuto sul capoluogo elbano diversi giri di ricognizioni. Alla fine si è venuti a sapere che l'elicottero militare aveva effettuato un sopralluogo, per capire e quindi scegliere il sito migliore su cui atterrare, visto che avrebbe trasportato un personaggio importante del governo italiano. Oltre le supposizioni, comunque non si era andati. Fino a quando, a poche ore dall'arrivo dell'elicottero all'aeroporto di Campo nell'Elba, non si è capito che si trattava della ministra Pinotti, responsabile del Dicastero della Difesa. In visita e per fare un saluto di cortesia all'equipaggio della nave scuola Amerigo Vespucci, alla fonda in rada. Doppia circostanza favorevole per l'Elba: il ritorno dopo anni di assenza della Vespucci che, comunque sia, attira sempre e costantemente l'attenzione sia dei residenti sia dei numerosi ospiti che tutt'ora si trovano sulla maggiore isola della Toscana, mancava da questi parti da diversi anni, sia la venuta (sebbene di poche ore) dell'onorevole Pinotti. Tutto questo è avvenuto il 22 settembre, al molo Elba, dove, la mattina stessa il sindaco di Portoferraio Mario Ferrari aveva presieduto alla cerimonia di commemorazione delle vittime del piroscafo Andrea Sgarallino. E alle 16 e 40 allo stesso molo si è imbarcata sul mezzo della Capitaneria di porto di Portoferraio la ministra per raggiungere la Vespucci e quindi salira a bordo per i saluti di circostanza. Nessun giornalista è stato accreditato a filmare l'evento; nessuno ha potuto quindi registrare quanto si è svolto a bordo della nave orgoglio della Marina militare. Ma veniamo alla cronaca della giornata per gli attimi che ci è stato possibile seguire. La ministra della Difesa Roberta Pinotti è arrivata all'Elba intorno alle 16 di ieri. La responsabile del governo è atterrata all'aeroporto di Marina di Campo con un elicottero della Marina Militare. Ad attenderla il comandante della capitaneria di porto Riccardo Cozzani e il capitano della compagnia elbana dei carabinieri Antimo Ventrone. La ministra ha attraversato la pista ed è salita, scortata, a bordo di una delle auto di stato in attesa all'esterno della stazione aeroportuale campese. Il trasferimento a Portoferraio è stato pressoché immediato. La visita del responsabile del dicastero della Difesa, di natura tecnica, non ha previsto momenti pubblici e incontri con le istituzioni locali. Intorno alle 16,30 il molo Elba di Portoferraio era presidiato per motivi di sicurezza da numerosi uomini della capitaneria, carabinieri e polizia di Stato. La ministra è scesa dall'auto blu sorridente, scambiando un veloce gesto di intesa con le autorità militari che la attendevano e salutando i tanti cittadini e turisti che, nel frattempo, si erano radunati a poca distanza dalle imbarcazioni della Capitaneria e della Marina accostate sul molo. Pinotti ha raggiunto la Vespucci, accompagnata dal capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano e dal capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Valter Girardelli. Successivamente ha visitato anche le altre unità navali ancorate in rada e ha salutato gli equipaggi, gli allievi ufficiali e sottufficiali. Nella giornata successiva, l'onorevole Pinotti ha premiato i militari che hanno partecipato alla gestione dell'emergenza dell'alluvione di Livorno. Tre giorni la nave scuola Amerigo Vespucci è stata alla fonda in rada. Ed ha destato grande attenzione e attirato molti ammiratori. Assieme alla Vespucci le altre unità navali della Marina, Luigi Durand de la Penne, Palinuro, Orsa Maggiore, Corsaro II e Caroly. Portoferraio è stato il primo porto italiano toccato al termine di un lungo viaggio nel Mediterraneo, nell'oceano Atlantico, nord America, Mar Egeo e Mar Nero.  

mercoledì 13 settembre 2017

Intervista a Sergio Carlotti sulla rivolta al carcere di Porto Azzurro

PORTO AZZURRO
Trent'anni dalla fine di quell'agosto e neppure sentirli. Se non, forse, nel fisico un po' appesantito rispetto a quello che aveva a 34 anni appena compiuti. Se non lo tradisse poi l'espressione del viso di persona matura, rispetto a quella invece di giovane laureato che segue la moda e che amava suonare, insieme ai suoi coetanei liceali e universitari, nel complesso bit, esibendosi nei vari locali notturni dell'Isola. Ma per il resto è rimasto lo stesso, Sergio Carlotti. Alto, occhialetti da lettura e, nel 1987, sulle tempie una lievissima sfumatura di capelli bianchi, nella folta criniera nera, che oggi è solo un ricordo. Insomma un'aria professionale, propria di chi è calato nel ruolo in cui crede, quello di medico della Casa di reclusione più famosa della Toscana e oltre. “Quando Tuti entrò in Infermeria – ricostruisce – mi scambiò per il sindaco di Porto Azzurro”. Che successo sarebbe stato per il sequestratore di Empoli: in un colpo solo avrebbe disposto del direttore dell'istituto Cosimo Giordano e del sindaco di Porto Azzurro. Ma non fu così. “Lo dovetti smentire – continua il dottore portoferraiese – Tuti non commentò oltre. In quel momento aveva altro cui pensare”. La memoria di quei giorni è sempre fresca in lui. Il medico non ha rimosso nulla degli eventi. “Ho ripreso la vita di sempre – ammette, guardando alle settimane subito dopo il sequestro – Sono rimasto al mio posto di medico del carcere. Che è la mia missione”. E lo è tutt'ora, come quel 25 agosto, quando aprì il cancello di ferro per far entrare Tuti e compagni. “Intuii che stava succedendo qualcosa d'insolito – dice – da un colpo di pistola esploso d'abbasso, nel cortile. Poi arrivò la telefonata e le cose cambiarono”. Entrarono in due gruppi distinti. E Tuti, che sembrava il leader dei rivoltosi, agitava in una mano la pistola e nell'altra una scatola di latta, del tipo di quelle che si usano per conservare il tonno. Diceva esserci dentro dell'esplosivo, una bomba artigianale. “Non mi sfiorò neppure in un attimo la paura di non farcela – ammette – La mia vera preoccupazione fu come dirlo a mia madre, senza impressionarla ulteriormente. In quel periodo le sue condizioni di salute non erano molto buone, sicché decisi di chiamarla quella sera stessa, la prima del sequestro, e le dissi di non aspettarmi per cena ché avrei fatto tardi”. A quell'epoca Carlotti viveva ancora con i genitori a Carpani ed era al primo vero tirocinio della professione. Successivamente, avrebbe vinto il concorso di cardiologia e fu assunto stabilmente presso l'ospedale civico di Portoferraio. “Ma ho continuato a tenere l'incarico nel penitenziario di San Giacomo”, ammette. “Quando mi presentai agli esami del concorso, il cuore mi batteva a mille. L'adrenalina la stava facendo da padrone nel mio corpo. Sentivo i capelli ritti in testa. La stessa, identica sensazione che provai nei primi momenti del sequestro. Poi all'epoca tutto si acquietò e il mio corpo si adattò alla nuovissima situazione. Allora pensai: 'Ma come? Sono riuscito a superare quei difficilissimi momenti in cui la mia vita era in pericolo e adesso non riesco a controllare le emezioni, che non sono così drammatiche come durante il sequestro'. Appena fatto questo ragionamento, sentii all'improvviso che il cuore cominciava a battere regolarmente. La situazione si stava normalizzando”. Un altro effetto positivo dell'esperienza vissuta sotto la minaccia della rivoltella di Tuti fu la sicurezza che dimostrava quando entrava nelle celle, a visitare i detenuti che non erano riusciti a raggiungere l'Infermeria. Generalmente i dottori che lo avevano preceduto nell'incarico erano accompagnati da uno o più agenti di custodia. Lui invece si presentava da solo, con indosso il camice bianco, l'immancabile valigetta e il fonendoscopio che gli penzolava sul petto: il suo pass partout, il biglietto da visita. Era la reazione all'avventura vissuta nell'Infermeria, sotto la minaccia delle armi? Può essere. Fatto sta che Carlotti da allora assunse una maggior sicurezza. Durante la settimana del sequestro dormiva in cella, insieme con altre due agenti. “Un detenuto che all'interno del carcere aveva molta considerazione – rivela il medico – fu Facchinieri. E' stata una fortuna averlo in Infermeria. Mi ha fatto da padre e io mi sentivo più protetto”. Ci fu anche un momento di tensione quando dal soffitto cadde della polvere e si avvertirono dei rumori. Erano i corpi specializzati che si schieravano per un intervento che si sarebbe risolto con spargimento di sangue. “Dopo la richiesta non andata a buon fine della macchina blindata del direttore – dice Carlotti – spuntò l'ipotesi dell'elicottero. Tuti mi disse che se fosse arrivato, io sarei stato fra gli ostaggi, avendo la stessa altezza dei sequestratori. Tutti con il cappuccio per non essere riconosciuti. Ma ci rendemmo presto conto che non sarebbe mai arrivato. Invece trovava terreno fertile la trattativa avviata dal direttore Giordano. 'Se me lo concedono – gli disse Tuti – starei bene a Pianosa o a Montecristo'”. Gli confidò. Fu il segnale che la trattativa aveva imboccato la strada giusta. Tuti gli rivelò la sera prima della liberazione che avrebbe fatto esplodere le bombe rudimentali fuori dalle inferiate. “In segno di gioia, come scoppi d'artifico”. “Lo dissuasi. Ci sarebbe stato troppo rumore”. Sergio Carlotti uscirà dall'Infermeria fra gli ultimi, dietro di lui solo Cosimo Giordano.


sabato 9 settembre 2017

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domenica 23 luglio 2017

L'estate elbana

Se chiedi, a chi ha trascorso la preadolescenza negli anni della ricostruzione del Paese dopo la disfatta dell'ultimo conflitto mondiale ed era fanciullo durante il boom economico, se ricorda di essere stato felice. Di sicuro ti risponde di quando si trovava nelle vie di paese assolate e torride d'estate. Con le scuole chiuse. Quindi libero da impegni cogenti. La libertà di essere padrone di organizzare il tuo tempo la misuravi attraverso i tuoi passatempi preferiti, che consistevano in una incredibile varietà di giochi da organizzare insieme con i coetanei nel vicinato. Dalla creazione di tricicli, alla realizzazione di cerchi che utilizzavi in epiche gare impiegando forcelle ricavate con il fil di ferro, ai duelli infiniti con le biglie su percorsi improponibili, ricavati sulle strade che non erano ancora asfaltate. Erano gli anni in cui le madri mandavano liberamente i figli per strada a giocare, tanto le macchine non c'erano (o almeno erano poche) e, quando ne passava una, occorreva farsi sul ciglio e non respirare per qualche secondo per non starnutire a causa della polvere sollevata. Sì, erano tempi in cui si era felici, anche se mancavamo di tutto: le autovetture non avevano, al loro interno, l'aria condizionata, ma in compenso mostravano sul tettino il portabagagli. Nei paesi isolani si contavano sulle punte delle dita le persone che potevano permettersi un'automobile. Ce l'aveva anche un commerciante di generi vari che gestiva sulla strada più frequentata della Città un negozio di alimentari. D'agosto, con il caldo che faceva, teneva aperte le finestre in modo tale da far corrente con la porta d'ingresso: quando entravi ti impegnavi a far presto per restare dentro il meno possibile. C'era di tutto, in quel negozio: una sorta di emporio che accontentava le esigenze delle comari. Aveva un casolare in campagna, dove puntualmente, ogni estate, si ritirava con la moglie, vecchia come lo era lui. Facile scorgere sul portabagagli qualsiasi tipo di mercanzia, la più varia che si portava appresso. Erano gli anni in cui anche gli artigiani, gli operai possedevano, ognuno, un magazzino fuori di paese. D'estate la Città si svuotava, come qualsiasi altro centro urbano. Si andava nel podere a trascorrere i mesi più caldi dell'anno. Chi ne aveva uno in vicinanza del mare. Chi invece in collina (era invece la maggioranza) con appezzamenti di terreni coltivati a vigne e orti. Il mare non aveva l'attrattiva che riveste oggi. Si preferiva la masseria per dedicarsi alle cure delle viti o ai frutti dell'orto, se non agli animali domestici. Erano gli anni in cui anche i pensionati potevano godersi la vita dopo i sacrifici e ognuno possedeva qualcosa, da lasciare agli eredi. E non guadagnavano cifre esorbitanti. Eppure avevano una casa in paese e un manufatto in campagna. Quando poi si decideva di fare una spiaggiata, ci si portava dietro perfino le sedie e i tavolini pieghevoli di plastica. E immancabili gli spaghetti al sugo da condividere con il resto della famiglia in parti uguali. E per merenda un uovo lesso, da accompagnare con la schiaccia del forno preparato a legna. Altro che contenitori frigo di plastica e bottiglie di acqua naturale. Avere un thermos con il caffè era un lusso. Ho imparato allora che in ogni spiaggia in cui si andava (mai la stessa, nella medesima stagione) c'era la sua brava sorgente di acqua fresca. Così a Ortano so dov'era l'acqua, anche se dovevi entrare in un terreno privato. Ma il proprietario sapeva che ero entrato per bere e non per rubare ortaggi. Come a Nisporto, nel pozzo della Ballerina, Nisportino, o Barbarossa, non molto distante dalla spiaggia. Bastava portarsi da casa un contenitore. L'acqua era sul posto. La felicitàaveva l'aspetto di un'estate sull'Isola, con le macchine fotografiche ottenute con i bollini della spesa e i rullini da 12 o 24 pose. Dovevi stare attento perché non venissero mosse. Le novità e il progresso venivano dal mare, dai traghetti che trasportavano i primi turisti. L'ebrezza di vendere gli “scherzi” (come si chiamava la pirite) ai turisti stranieri al Padreterno o sul Volterraio. A nessuno di noi era mai balenato in testa che quei pezzi di minerali che i cavatori ogni tanto portavano dalle miniere potessero significare qualcosa, tanto meno ricavarci dei profitti. Eppure fu così che guadagnai le prime cento cinquanta lire, che investii in gassose e ghiaccioli all'arancio. Erano gli anni in cui nascevano le prime discoteche dove ci si recava per un'avventura, con le ragazze che stavano sedute ai tavoli e attendevano l'invito di noi ragazzi. E poi, quando l'avventura finiva con la partenza dall'isola delle ragazze, le cartoline spedite in città, o le telefonate fatte dalle cabine con i gettoni. La testa piena di sogni. Eppure si era felici, anche senza usare lo smartphone. Non avevamo ancora la connessione a internet, ma erano quelli i tempi dell'età dell'oro della nostra generazione. La felicità semplicemente stava in quei materassi arrotolati che mettevamo sopra il portabagagli delle macchine, oppure sulle groppe degli asini che ci aiutavano a portarli nei magazzini di campagna da stendere sui sacchi di vegetali su cui prendere sonno nelle notti caldi di agosto. Albergava lì, e non possedevamo nemmeno la password.



Premio letterario Isola d'Elba, Brignetti

Le vicende vissute da un noto illustratore milanese burbero e affaccendato, chiamato a Napoli dalla figlia per accudire per quattro giorni il nipote mentre i genitori partecipano a un convegno, raccontate in 176 pagine fitte da Domenico Stornone, hanno convinto la maggioranza dei giurati del premio 'Elba, Brignetti'. Sicché, nella splendida cornice del chiostro del centro De Laugier gremito in ogni ordine di posti, il settantaquattrenne scrittore napoletano è stato incoronato vincitore. E' stato lui ad aggiudicarsi la 45esima edizione del concorso letterario Isola d'Elba, intitolato a Raffaello Brignetti. Ha sbaragliato il campo dagli altri due contendenti alla vittoria finale, Nicola Gardini che ha partecipato con “Viva il latino”, pubblicato da Garzanti e Fabio Stassi invece che aveva inviato ai giurati la sua ultima fatica, “La lettrice scomparsa”, edita da Sellerio. Domenico Starnone, a dovere di cronaca, era già stato finalista del premio Elba nel 2015 con il romanzo “Lacci” (Einaudi). La vittoria finale però arrise a Marco Missiroli, che aveva concorso con “Atti osceni in luogo privato" (Feltrinelli). Certo è che il 2017 è l'anno fortunato per Einaudi: sua è l'opera vincitrice dello Strega (“Le otto montagne” di Paolo Cognetti). Adesso si aggiunge nell'albo d'oro della casa torinese l'affermazione anche di “Scherzetti”. E tutto lascia presupporre che, dopo due affermazioni, ce ne possa essere pure una terza. Fatto è che era dal 2010 che al premio “Elba Brignetti” non trionfava un titolo edito da Einaudi. L'ultimo, in ordine di tempo, è stato "Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre” di Benedetta Tobagi. Dicevamo, un anno fortunato per l'editore torinese, ma non solo. Il 2017 è stato per il premio letterario elbano l' “edizione delle meraviglie”, stando alla definizione che ne ha dato Alberto Brandani, presidente della giuria letteraria. “Delle meraviglie – così ha spiegato il presidente – per lo spessore e l'importanza delle tre opere finaliste che sono tutt'e tre di primissimo ordine. Poi, perché a condurre la serata finale con cui si premiava il vincitore è stato il giornalista televisivo, nonché egli stesso scrittore, Franco Di Mare, che avrà al suo fianco personaggi come la showgirl Valeria Altobelli (alla seconda presenza sul palco del premio) e il cabarettista Demo Mura. Ma a impreziosire la serata è stata la partecipazione di Nicola Pietrangeli, indiscusso campione italiano di tennis di levatura mondiale. Poi la chicca: l'attribuzione del premio alla carriera di valenza isolana che è partito proprio da questa edizione e sarà rivolto a personaggi di spicco elbani. I giurati mi hanno dato carta bianca ed io ho pensato di consegnare questo riconoscimento a Giorgio Barsotti, presidente del comitato promotore del premio Elba”. “Sono emozionato nel ritirare questo riconoscimento – ha detto fra l'altro Giorgio Barsotti che era già sul palco per consegnare a Domenico Starnone il premio in denaro di 6mila euro – Ma mi corre l'obbligo di ricordare chi mi ha preceduto nella carica di presidente del comitato promotore del premio Elba, Antonio Bracali. Rivolgo a lui un saluto che credo gli giunga gradito, proprio in questo periodo in cui ha problemi di salute e l'augurio di una pronta guarigione”. Perfetta e impeccabile la conduzione di Franco Di Mare, che si è detto rapito dalle bellezze isolane. “All'anno – ha iniziato il conduttore – si pubblicano in Italia oltre 65 mila titoli; ma il problema è che ci sono pochi lettori. Quelli veri sono circa 3 milioni e mezzo. Bisogna invogliare di più la gente a leggere, per far crescere la nostra cultura nel mondo”. Ma veniamo a come si sono pronunciati i giurati sull'opera vincitrice. Per Marino Biondi si tratta di un romanzo dalla struttura gotica, romanzo di fantasmi che rivelano la complessità delle loro vite; sono pagine anche che parlano di Napoli. Ernesto Ferrero che ha letto al pubblico le motivazioni della giuria in base alle quali veniva attribuito il premio Elba ha aggiunto: “Lo spazio claustrofobico dell’appartamento di Napoli diventa il laboratorio teatrale d’un moderno 'De Senectute', che della vecchiaia esplora tutte le fragilità”. Ha precisato poi Alberto Brandani, presidente della giuria letteraria: “Starnone continua a scavare nello sfarinamento di una borghesia colta ed invecchiata nei suoi fantasmi e nelle sue incertezze. Con questo autore, uno dei nostri maggiori narratori, si conferma l’alto livello dei vincitori di un premio che Geno Pampaloni volle austero e silente. Austero è rimasto nella discrezione dei suoi giurati, nella sobrietà delle sue manifestazioni esteriori, nella libertà delle riunioni della giuria letteraria. Il silente rimanda alla solitudine che, in tempi di una falsa e superficiale socialità digitale, accompagna il lettore – ha concluso il presidente - nella sua insostituibile funzione di interprete del testo, in senso musicale”. E' stata poi la volta di Starnone. “Riconoscimento – ha detto – è una bella parola. Quando si scrive non si ha sempre la percezione che il messaggio che tu hai affidato alla pagina bianca sia stato o meno percepito dal lettore. La scrittura è sempre un atto che si consuma in solitudine: la parola resta sulla pagina. Quando avvengono eventi come quello di oggi – ha continuato Starnone – allora noi scrittori ci gratifichiamo un po' perché ciò che è uscito dalla nostra penna è stato condiviso e partecipato. E ciò non può che farci piacere”. Franco Di Mare, a questo punto, l'ha incalzato per conoscere la tecnica del suo lavoro di scrittore e, preso dalla foga del suo discorso, è incappato nell'errore (del tutto perdonabile) di confondere Torquato Tasso con Vittorio Alfieri. E' infatti quest'ultimo che. con la sua ferrea volontà. si legava alla sedia, pur di raggiungere lo scopo prefisso e non Torquato. “Ci si mette davanti al foglio da riempire – ha aggiunto Starnone – senza avere una dimensione dello spazio e del tempo. Certo è che si tratta sempre di una continua e costante rivisitazione di quanto abbiamo scritto, per affinare meglio i concetti e renderli più digeribili al pubblico”. I tempi erano maturi perché qualcuno tra il pubblico chiedesse al vincitore, lui che era di Napoli, se era in grado (o se la sentiva) di dare qualche indicazione in più al pubblico elbano sulla “misteriosa” scrittrice (perché nessuno la conosce fisicamente) Elena Ferrante, che i più dicono sia anche lei di Napoli. Ma nessuno ha provato a sollevare il velo del mistero. A cerimonia conclusa, è doveroso indirizzare 'un bravo' al Comitato organizzatore che si è avvalso della collaborazione del Comune di Portoferraio, Assessorato alla Cultura, del parco nazionale e del Confcommercio. Senza contare gli sponsor storici Acqua dell'Elba, Locman, Moby, Gruppo Nocentini che ha offerto il buffet, hotel Airone e il nuovo ingresso di Airlite. Qualche settimana di riposo e poi il comitato sarà già al lavoro per la prossima edizione del 2018.



mercoledì 12 luglio 2017

I mufloni e l'Elba

«La decisione di eradicare il muflone all'isola d'Elba non è stata presa 'per gli ingenti danni procurati all'agricoltura', ma semplicemente perché l'animale è una specie alloctona o aliena». Lo scrive il presidente del Parco nazionale Giampiero Sammuri, rispondendo a una lettera che gli era stata fatta recapitare da Delia Volpi, aderente a Wwf. E allo stesso tempo il presidente risponde anche alle altre numerose lettere pervenute nella sede del Parco, sempre inerenti il problema d'estirpare l'animale non autoctono. «Secondo la convenzione per la diversità biologica - aggiunge - si definisce aliena "una specie introdotta dall'uomo intenzionalmente o accidentalmente al di fuori del suo naturale areale distributivo, presente o passato". Il grande pubblico non sa che le specie aliene sono la seconda causa di perdita di biodiversità nel mondo, dopo la distruzione del l'habitat, come certifica la più grande organizzazione mondiale di conservazione della natura, la Iucn. Una prestigiosa e seria associazione ambientalista, Birdlife International, ha scritto in un paper di pochi anni fa, che le specie aliene hanno concorso all'estinzione del 50% delle specie di uccelli che si sono estinte negli ultimi 500 anni (68 su 135) e che delle 179 specie minacciate in modo critico secondo la red list dell'Iucn».Come se non bastasse, un documento a firma congiunta Cbd-Iucn del 2010 consigliava che l'eradicazione delle specie aliene è consigliata sopratutto nelle isole, dove le specie invasive fanno i danni più grandi alla fauna e flora autoctone, costituite in gran parte da endemismi, in tempi brevissimi. Quanto ai danni procurati dai mufloni il presidente del Parco evidenzia come nelle zone in cui è presente il muflone, il numero delle plantule (ciò le piccole piante che garantiscono il rinnovamento del bosco) è di solo il 14% rispetto alle piante adulte. È il contrario della situazione normale, quando dovrebbero essere più abbondanti, come infatti avviene nel settore orientale dell'isola, dove il muflone è assente, e dove sono il 172% delle adulte. «Il muflone non può essere - si legge nella nota - un'attrazione turistica. Se lo fosse, rappresenterebbe un modello sbagliato di rapporto dell'uomo con la natura, fatto di manipolazioni ed azioni che alterano i normali equilibri naturali. Il parco non è un giardino zoologico dove si va ad ammirare animali esotici, ma un territorio dove si salvaguardano i valori naturali che, quando sono alterati si cerca di ripristinare". E aggiunge: "Chi ha immessi gli animali e chi eventualmente lo ha permesso, ha sbagliato. Noi stiamo lavorando per riparare quest'errore. È sempre uno sbaglio immettere volontariamente o involontariamente da parte dell'uomo il muflone. Sinceramente ci dispiace che non voglia venire più nell'isola d'Elba. Mi permetto solo di farle notare - conclude la nota di Sammuri - che l'eradicazione del muflone la renderà proprio più "naturale e selvaggia" in quanto la sua presenza è assolutamente 'artificiale', che se non mi sbaglio è il contrario di naturale».

sabato 17 giugno 2017

Nuovo giorno

Vediamo le cose
attraverso un filtro
che ci deforma
la realtà

Dalla mia postazione
vedo la luna
Che mi importa
se nel mio giardino
il roseto è secco
Se la fonte non ha
più acqua

E' dentro di me
che non si è esaurita
la sorgente nova

E che esplosione
di gioia
se in questo deserto
scorgo un'inattesa forma di vita

_________________
da "Il mare in un bicchiere di plastica", 2011

"Music was my first love"

Sbarco alleati Marina di Campo 17 Giugno 1944

venerdì 16 giugno 2017

La festa del Padreterno

Domenica scorsa, 11 giugno, si festeggiava la ricorrenza della Ss. Trinità. Meglio conosciuta come la festa del Padreterno. A Rio nell'Elba, sul versante orientale dell'Isola, si trova l'unico tempio sacro esistente sull'Isola dedicato alla Trinità. Che meraviglia c'è, se nel corso dei secoli questa località è sempre stata fatta oggetto di venerazione da parte delle popolazioni di questo versante e non solo? Non è mancata pure quest'anno, anche se, in questa recentissima occasione, qualcosa non ha girato per il verso giusto. Mi riferisco all'affluenza di fedeli, sebbene non siano mancate le celebrazioni liturgiche con il triduo di preparazione all'evento e con le celebrazioni delle messe. Ma a chi ha superato come me i sessant'anni, viene spontaneo fare un raffronto fra quelle che erano le feste del Padreterno negli anni scorsi e le moderne edizioni. Dal paragone non può che rimanere sconcertato. Cosa è mai avvenuto? Perdita di valori? Crisi spirituali? Smarrimento di fede? O, peggio ancora, non sapere più chi siamo, nella consapevolezza di aver perduto il bagaglio di tradizioni da consegnare alle nuove generazioni? Un po' di tutto questo. E altro ancora. La festa del Padreterno 2017 è stata una ricorrenza squisitamente religiosa. E basta. Qualcuno sarà contento, ma quella frenesia, quella agitazione popolare che si riscontrava in questo periodo particolare dell'anno, oggi non s'è avvertita. Negli anni Sessanta noi ragazzi capivamo che si avvicinava la festa da una decina di giorni prima. Era la festa che salutava la primavera. Per noi era un'esplosione di giubilo, visto che potevamo spingerci a giocare oltre le mura del paese e arrivare alla chiesetta che dista circa un chilometro dal paese. Lo si capiva dalla donne pie, che nel tardo pomeriggio si recavano a frotte in preghiera per la pratica della novena. Lo si intuiva dai minatori che, al termine del turno di lavoro a Rio Albano, o alla miniera del Ginepro, si mettevano sulle spalle i piloni di legno per costruire la luminaria di lampadine lungo la strada che dal paese portava alla chiesetta. E che spettacolo ammirarle di notte. Lo si desumeva dalla croce in ferro battuto, tutta illuminata di sera con cento e passa lampadine che veniva issata sul campanile e dalla facciata della chiesa parrocchiale illuminata anch'essa come mai lo si era visto. Tutto questo in preparazione. E il giorno della festa, solenne processione con la banda musicale e i bambini e le bambine della prima comunione in abiti della cerimonia ad aprire il corteo dietro allo stendardo rosso, come erano rosse le colline delle miniere. Centinaia di persone che raggiungevano la chiesetta e assistevano sotto il porticato o nei campi alla messa celebrata il più delle volte dal vescovo. Venivano da altri paesi i fedeli che il tempietto non riusciva a contenere. Riesi che risiedevano in continente, ma che per il Padreterno tornavano al paese, per presentarsi davanti al quadro e dire “Eccomi”. Un desiderio intimo, non solo di appartenenza alla comunità, ma avere dentro di sé la certezza di avere per amico Dio. E se il rapporto non si intendesse in questi termini, che senso avrebbe nell'Ottocento che i maggiorenti del Comune appena eletti venissero qui a giurare fedeltà allo Statuto comunale? Il sacro che si sposava con il profano. Chiamando Dio a testimone delle proprie azioni. Non si giura forse ancora sulla Bibbia nei processi degli Usa? Gli antichi Etruschi non interpellavano forse i Lucumoni per le loro maggiori imprese? Noi non proveniamo da questo unico ceppo di popolo? Non è forse qui che la gente riese e poi elbana si riunì nella festa del Padreterno del maggio 1915, per chiedere la protezione divina sui propri figli, mariti, fidanzati strappati dai campi, dalla pesca o dalle miniere chiamati alle armi allo scoppio della Grande Guerra? Non accadde proprio qui, nel tremendo inverno del 1944, che la popolazione trovò le coperte militari con cui ripararsi dal freddo o per farci dei cappotti per l'incipiente inverno? Potesse, questo stupendo quadro della Trinità del XVIII secolo, raccontare le vicenda di cui è stato testimone, riempirebbe pagine e pagine di scritto. Se considerate tutto questo, non vi stupirete se l'allora vescovo della diocesi di Massa Marittima, Faustino Baldini, al termine dell'ultima guerra, riportò dalla canonica della parrocchia riese dove fu conservato il quadro della Trinità nella sua storica dimora, guidando una processione che i vecchi ancora ricordano? Le donne furono invitate a mettere fuori dalle finestre le coperte migliori. Una festa popolare in grande stile. E poi c'è l'aspetto per così dire pagano del Padreterno. Me l'ha ricordato un anziano in carrozzella che stazionava, quest'11 giugno, sotto i portici, all'ingresso della chiesetta. “Te li ricordi gli archi di mortella? – mi chiese – E le bandierine in piazza? E la corsa dei cavalli, le gare delle biciclette? Le bande musicali in piazza e la sera il ballo finale, con i fuochi artificiali a mezzanotte?”. Oggi niente di tutto questo. Una tabula rasa. Che rischia addirittura di annullare la memoria. Mentre quell'uomo parlava, mi veniva a mente il passo che dice che è necessario che il seme muoia, per portare frutto. La mia allora non era altro che una testimonianza della fine di un'epoca fra il Novecento e il Duemila. E l'annuncio di tempi nuovi. Di nuove frontiere. Sarei dovuto partire dal Padreterno con la morte nell'anima. Invece uscivo, rendendomi conto che stavo aprendo le porte alla speranza, convinto com'ero che sarebbero arrivate nuove stagioni per l'Uomo. Con quali forme, sotto quali aspetti, era tutto da scoprire.

giovedì 15 giugno 2017

Il parco e i mufloni

«La decisione di eradicare il muflone all'isola d'Elba non è stata presa 'per gli ingenti danni procurati all'agricoltura', ma semplicemente perché l'animale è una specie alloctona o aliena». Lo scrive il presidente del Parco nazionale Giampiero Sammuri, rispondendo a una lettera che gli era stata fatta recapitare da Delia Volpi, aderente a Wwf. E allo stesso tempo il presidente risponde anche alle altre numerose lettere pervenute nella sede del Parco, sempre inerenti il problema d'estirpare l'animale non autoctono. «Secondo la convenzione per la diversità biologica - aggiunge - si definisce aliena "una specie introdotta dall'uomo intenzionalmente o accidentalmente al di fuori del suo naturale areale distributivo, presente o passato". Il grande pubblico non sa che le specie aliene sono la seconda causa di perdita di biodiversità nel mondo, dopo la distruzione del l'habitat, come certifica la più grande organizzazione mondiale di conservazione della natura, la Iucn. Una prestigiosa e seria associazione ambientalista, Birdlife International, ha scritto in un paper di pochi anni fa, che le specie aliene hanno concorso all'estinzione del 50% delle specie di uccelli che si sono estinte negli ultimi 500 anni (68 su 135) e che delle 179 specie minacciate in modo critico secondo la red list dell'Iucn».Come se non bastasse, un documento a firma congiunta Cbd-Iucn del 2010 consigliava che l'eradicazione delle specie aliene è consigliata sopratutto nelle isole, dove le specie invasive fanno i danni più grandi alla fauna e flora autoctone, costituite in gran parte da endemismi, in tempi brevissimi. Quanto ai danni procurati dai mufloni il presidente del Parco evidenzia come nelle zone in cui è presente il muflone, il numero delle plantule (ciò le piccole piante che garantiscono il rinnovamento del bosco) è di solo il 14% rispetto alle piante adulte. È il contrario della situazione normale, quando dovrebbero essere più abbondanti, come infatti avviene nel settore orientale dell'isola, dove il muflone è assente, e dove sono il 172% delle adulte. «Il muflone non può essere - si legge nella nota - un'attrazione turistica. Se lo fosse, rappresenterebbe un modello sbagliato di rapporto dell'uomo con la natura, fatto di manipolazioni ed azioni che alterano i normali equilibri naturali. Il parco non è un giardino zoologico dove si va ad ammirare animali esotici, ma un territorio dove si salvaguardano i valori naturali che, quando sono alterati si cerca di ripristinare". E aggiunge: "Chi ha immessi gli animali e chi eventualmente lo ha permesso, ha sbagliato. Noi stiamo lavorando per riparare quest'errore. È sempre uno sbaglio immettere volontariamente o involontariamente da parte dell'uomo il muflone. Sinceramente ci dispiace che non voglia venire più nell'isola d'Elba. Mi permetto solo di farle notare - conclude la nota di Sammuri - che l'eradicazione del muflone la renderà proprio più "naturale e selvaggia" in quanto la sua presenza è assolutamente 'artificiale', che se non mi sbaglio è il contrario di naturale».

domenica 28 maggio 2017

Il Comune di Rio

La giunta regionale ha approvato all'unanimità il progetto di fusione dei due Comuni del versante orientale dell'isola, Rio Elba e Rio Marina. Il passo successivo sarà quello dell'esame del provvedimento in seno alla commissione della Regione. Dopodiché il progetto approderà in seduta di consiglio per le valutazioni e le approvazioni finali. Di fatto, si sono concluse le procedure che riguardavano le sedi amministrative locali. Da ieri si sono aperte invece quelle fiorentine. L'ultimo atto dei sindaci di Rio Marina, Renzo Galli e di Rio nell'Elba, Claudio De Santi è stato la presentazione formale della proposta del progetto di legge che andrà a disciplinare la procedura di fusione dei due Comuni elbani e dovrà indire il referendum popolare. Facciamo un passo indietro. La fase elbana era stata caratterizzata da una prima delibera di indirizzo dei due consigli comunali. In seconda battuta erano state organizzate dai due sindaci nelle rispettive sedi di appartenenza (frazioni comprese) delle assemblee dei cittadini. Infine si era assistito alle deliberazioni finali che hanno deciso i principi fondamentali della fusione. Primo di tutti il nome del nuovo comune, che sarà "Rio". Qualora il referendum che sarà indetto dalla Regione nel mese di ottobre dovesse risultare favorevole all'accorpamento, la decorrenza del nuovo ente sarà dal 1°gennaio 2018. Successivamente a questa data bisognerà rivedere l'articolazione territoriale che comprenderà due municipi amministrativi: a Rio nell'Elba risiederà il consiglio comunale, mentre a Rio Marina il sindaco. Comunque tutto questo sarà contemplato e previsto nello Statuto del nuovo Comune che le due Amministrazioni hanno intenzione di far deliberare dai rispettivi Consigli Comunali dopo il referendum. Altra considerazione fondamentale: la nuova organizzazione degli Uffici. Essa sarà articolata sui due municipi con la suddivisione dei servizi e la costituzione di front-office per rispondere comunque alle richieste dei cittadini anche per quelli insediati presso l'altro Municipio. «Da adesso - rivela Claudio De Santi - inizia il percorso di redazione del testo della legge. Mi dichiaro soddisfatto dell'enorme opportunità che ci viene offerta. Spero che sia recepita dalla cittadinanza che non è politica, ma un processo finalizzato a dare una svolta ai piccoli enti come il nostro e a farli continuare ad esistere». Anche per Giovanni Muti, vicesindaco di Rio Marina la fusione è un'occasione da sfruttare fino in fondo. «Per continuare a offrire dei servizi ai nostri cittadini adeguati alle esigenze e ai bisogni di una società avanzata com'è la nostra». A livello locale da oggi la palla passa ai rispettivi comitati per il Sì e per il No. «Ai quali auguriamo - concludono infine all'unisono i due sindaci riesi - un buon lavoro e un sereno e democratico dibattito sulle rispettive ragioni».

venerdì 26 maggio 2017

Nuova carta dei sentieri dell'arcipelago toscano

Una nuova carta dei sentieri del parco nazionale arcipelago toscano. E' distribuita proprio in questo periodo. Si tratta di un progetto cartografico per la diffusione e promozione in digitale e in analogico della carta escursionistica dell’Isola d’Elba e delle altre sei isole dell’Arcipelago Toscano. Le mappe sono disponibili in due versioni. Una per l’Elba e una per l’intero Arcipelago Toscano. Sono state realizzate in polyart, una speciale carta sintetica che può essere utilizzata nelle condizioni più ardue, resistente a strappi, manipolazioni continue, acqua, olio e molte sostanze chimiche. Tutte le mappe hanno il loro equivalente digitale per smartphone e tablet (iOS, Android, Windows) attraverso l’applicazione: Avenza Maps di Avenza Systems Inc. per ognuna delle 7 isole dell’arcipelago scaricabile gratuitamente. I dati della carta geografica che serve per realizzare le carte digitali e a sostituire i file delle carte nello store saranno aggiornati annualmente. Gli utenti che avranno scaricato le carte, avranno diritto anche a tutti i successivi aggiornamenti. E’ stata prodotta anche una mini mappa turistica tascabile per l’Elba e per il Giglio in scala 1:50.000 con l’evidenza delle spiagge. Le mini mappe sono acquistabili presso distributori automatici dedicati, posizionati nella sede del Parco all’Enfola, all’Info Park a Portoferraio, nelle case del Parco di Marciana e Rio nell’Elba e nel punto informativo del Parco all’Isola del Giglio. Ha detto il presidente Giampiero Sammuri: Prodotto utilissimo e al passo coi tempi – ha sottolineato - grazie alla App è possibile scaricare le mappe di tutte le isole sul proprio cellulare e registrare la propria posizione e il percorso fatto. Si tratta di prodotti cartografici tra i più aggiornati e precisi presenti sul mercato. Il progetto cartografico è stato possibile a seguito della georeferenziazione di tutti i sentieri del Parco, una ricognizione, mai fatta prima grazie alla quale è stato possibile realizzare un prodotto completo sia cartaceo che digitale con una carta topografica di precisione che include i sentieri ufficiali del Parco su tutte le isole dell’Arcipelago Toscano”. Oltre ai sentieri ufficiali del Parco rilevati con GPS, sono indicati tutti i punti d’interesse, le aree protette a terra e a mare, le informazioni culturali e logistiche. Una carta rappresenta l’Isola d’Elba a scala 1:25.000 (fronte e retro), l’altra carta rappresenta le singole isole a scala 1:15.000. Sulla carta dell’Isola d’Elba è presente un estratto dedicato alla mountain bike (Capoliveri Bike Park) con i percorsi ufficiali corredati di scheda tecnica (lunghezza, dislivello, pendenza, difficoltà). In totale sono stati riportati 435 km di sentieri, 684 km di strade sterrate e 440 km di Strade asfaltate. Intanto, sono in corso i lavori di manutenzione della sentieristica che includono anche il posizionamento della nuova cartellonistica e la nuova segnatura dei sentieri con l’ obiettivo di ottenere una segnaletica univoca in collaborazione con il CAI regionale. Nella cartina in vendita è già riportata la nuova segnatura ed è stata allegata la legenda con la corrispondenza tra vecchie e nuova segnatura in attesa del completamento dei lavori per il prossimo settembre 2017.

venerdì 19 maggio 2017

Elba isola di poeti e narratori: Il mio primo incarico nella scuola di Luigi Cignon...

Elba isola di poeti e narratori: Il mio primo incarico nella scuola di Luigi Cignon...: Luigi Cignoni scrisse L’isola del diavolo ( Livorno, Editrice La Nuova Fortezza, 1989) dopo aver   insegnato dal 1979 al 1981 nella s...

sabato 22 aprile 2017

Lo Scoglio in edicola

E’ in edicola “Lo Scoglio”, la rivista nata nel 1983 per condividere con i lettori i risultati di ricerche storiche sull’isola d’Elba, senza trascurare alcuni temi di particolare attualità. Il numero primaverile ci accompagna in un viaggio tra passato e presente con un perno fisso: l’inderogabile necessità di tutelare il patrimonio culturale ed ambientale del nostro “microcosmo”.
Viene così riservato parecchio spazio alla Terra di Rio, alle recenti e passate barbarie che hanno depauperato le preziose testimonianze di una civiltà millenaria, ma anche alle valenze di pregio come il Museo Archeologico del Distretto Minerario ed alle buone pratiche che vedono le amministrazioni comunali della “Piaggia” e di Rio nell’Elba impegnate un percorso di cambiamento, non solo amministrativo, ma anche culturale. Gli articoli sono firmati da Valentina Caffieri, Gianfranco Vanagolli e Luigi Cignoni.
Grazie alla testimonianza di Giovanni Descalzo, un mozzo che approdò a Pomonte su un leudo genovese per caricare il vino, ecco uno spaccato della civiltà contadina degli anni venti dello scorso secolo, commentato da Beppe Tanelli e corredato con foto di paesaggi e persone di cent’anni fa.
Giancarlo Molinari rivela i sorprendenti retroscena di un naufragio avvenuto a Portoferraio nel gennaio del 1815, Silvestre Ferruzzi indaga sulle origini della Fortezza di Marciana, Umberto Gentini cura la cronaca della visita di Vittorio Emanuele III, venuto all’Elba per assistere alle “Grandi Manovre Combinate” del 1908.
Si tracciano poi i profili di personaggi che appartengono al nostro passato recente e si ricorda il dott. Giuseppe Bandi, il medico dei poveri, lo scrittore Felice Chilanti nei suoi soggiorni all’Elba, ma anche un popolano geniale come Gaetano Donati.
Altri articoli parlano di architettura liberty (scritto da Marisa Sardi), della visita al versante minerario di Pietro Leopoldo nel 1769 (di Giorgio Giusti), mentre Ilaria Monti ripercorre le tappe della coltivazione degli ulivi all’isola di Pianosa sulla scorta di documenti scovati nell’archivio storico di Firenze.
Lo Scoglio” fresco di stampa presenta inoltre una ricchissima documentazione fotografica con immagini mai pubblicate, fortemente evocative degli avvenimenti narrati nei diversi redazionali.






mercoledì 29 marzo 2017

Lo scrigno delle risorse del sottosuolo nell'arcipelago

Non finisce di stupirci l'arcipelago toscano. Non solo per le sue eccellenze di carattere ambientale e naturalistico note un po' a tutti. Ma anche per le preziose risorse che esso custodisce da millenni nel suo sottosuolo. Parte già ampiamente sfruttate. Parte ancora no. Ne sono prova i giacimenti minerari dell'Elba. Oggi l'ultimo episodio di cronaca. Protagonista il triangolo di mare compreso tra l’Elba, Pianosa e lo Scoglio dell’Africhella. E' stato documentato che dal fondale marino emerge l’energia con una forza misteriosa. Si tratta di miscele di gas che giungono sulla superficie del mare, modificando l’habitat sottomarino. Sono segni tangibili di un’attività geologica sottomarina. Dalle analisi che sono state condotte recentemente, dopo che un team di pescatori di Campo nell'Elba avevano ripreso con il telefonino una colonna di acqua, fango, gas e detriti uscire con forza dal mare e la Capitaneria di porto, informata dell'accaduto, aveva emesso un’ordinanza con cui si vietava l’accesso alle imbarcazioni nel raggio di 500 metri dal punto in cui era stato segnalato il fenomeno fangoso, tutto sarebbe riconducibile all’energia sprigionata da alcune sacche di metano nascoste nel sottosuolo a nord dell'Africhella. Il mare che ribolle in quel tratto di mare non sarebbe causato da altro che dal gas naturale. Il quale, molto probabilmente, è spinto in superficie dell’acqua dall’attività di un piccolo vulcano di fango. A queste conclusioni sono giunti gli esperti dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), in seguito all’analisi dei dati raccolti nello spicchio di mare tra Pianosa, Montecristo e l’isola d’Elba. Ne ha fornito ampia documentazione “Il Tirreno” dell'Elba, il quale così aggiunge: “I prelievi chimico-fisici dell’acqua di fronte all’Africhella hanno dato degli indizi importanti agli studiosi, in grado finalmente di decriptare il mistero venuto fuori in modo sorprendente giovedì scorso, quando una colonna di acqua, gas, fango e detriti, altra dieci metri, emerse sulla superficie dell’acqua, lasciando sbigottiti alcuni pescatori di Campo nell’Elba”. Viene anche riportata, in altro articolo del giornale locale, la dichiarazione di Gilberto Saccorotti, direttore dell’Ingv toscano che dichiara al giornalista che l'ha intervistato: «Nel mare dell’Africhella è stato rilevato un grande arricchimento in metano e il fondale un po’ rimaneggiato. Ciò lascia presupporre che vi sia stata un’emissione di una miscela di gas, a prevalenza metano, resa violenta dall’ostruzione operata dai sedimenti. Ciò è confermato dal rilevamento in quel tratto di sostenute emissioni di bollicine sostenute dal fondale». Il metano, dunque, o meglio l’energia sotterranea del metano, dunque, sarebbe la causa alla base dell’evento. Del resto, le analisi chimico-fisiche dell’acqua confermano gli indizi che in questi giorni sono stati rimessi insieme, come tessere di un mosaico. Del resto, la presenza di metano nel mare tra l’isola d’Elba e la Corsica fu rilevata già nel 1968, con lo studio pubblicato da due geologi dell’Istituto di geologia di Genova. Quindi, tra gli anni Settanta e Ottanta, a pochi chilometri dall’Africhella, l' Agip ha aperto i due pozzi Martina 1 e Mimosa 1, trovando in entrambi casi il gas. Ma non fu avviato un programma di sfruttamento perché il deposito non aveva una quantità tale da avviare un piano industriale in tal senso. Allora, ecco, svelato il mistero del “geyser di fango”. Le sacche di metano si gonfiano nella pancia del sottosuolo, senza trovare sfogo all’esterno dato che sono chiuse dai sedimenti di argilla e fango. Il tappo impedisce al gas di fuoruscire. Carica il fondale di un’energia che non è in grado di esprimersi. E solo quando il gas ha incamerato la forza necessaria, ecco che il tappo si rompe. Il vulcano di fango che fino a pochi istanti prima sembrava addormentato a poche decine di metri di profondità, esplode la potenza repressa fino ad allora, portandosi dietro fango e detriti. Fino alla superficie dell’acqua. Anzi oltre, visto che i pescatori di Campo nell’Elba dicono di aver visto alzarsi dal mare dell’Africhella una colonna alta dieci metri. E poi, infine, c'è il fenomeno d'acqua calda che fuoriesce da pozzo di Cavo, nel Comune di Rio Marina all'Isola d'Elba. Sono tutte espressioni di quanto la natura sia stata generosa con l'arcipelago toscano. Non dovrebbe essere lontano il tempo di pensare a sfruttare quest'energia che ci viene regalata dal sottosuolo tirrenico.

martedì 14 marzo 2017

Un referendum per decidere sulla fusione di Rio Elba

Potrebbe avvenire con un referendum la probabile fusione delle due municipalità dell'Elba orientale, Rio Marina, nata da una costola di Rio nell'Elba e quest'ultimo Comune collinare. Sarebbe, come si dice in gergo popolare, un ritorno al passato. E perché no? Potrebbe anche costituire il primo passo da cui partire per vedere l'inizio di una ridistribuzione e riorganizzazione amministrativa, per altro caldeggiata dal nostro Parlamento, sulla maggiore isola della Toscana che conta otto Comuni, su una superficie di poco oltre i 220 kmq. Accorparsi. È questa la proposta formalizzata dai primi due cittadini del versante orientale dell'Isola, Claudio De Santi e Renzo Galli, di costituire un unico ente. 
I due primi cittadini hanno lanciato la sfida: la parola ora passa ai cittadini che saranno chiamati, entro il prossimo ottobre, alle urne a pronunciarsi sul quesito se vogliono oppure no unirsi e ritornare a com'erano prima. Intanto in questa primavera le due amministrazioni comunali hanno indetto una serie di assemblee pubbliche per saggiare il terreno sulla proposta. Dopodiché sarà la Regione a stabilire i tempi e i luoghi, per procedere a una consultazione referendaria. E naturalmente le opinioni si rincorrono. Si contrastano.
C'è chi è favorevole e vede di buon occhio lo snellimento della macchina burocratica.
Chi invece è scettico, temendo di finire come il figlio minore di un organismo tutto da creare e 
inventare. Paura di perdere il potere. Timore del cambiamento. Tutto resta in sospeso. 
E ancora una volta è la storia a venirci incontro, risalendo alle cronache molto agitate di quell'estate 
del 1882, quando avvenne il distacco della Piaggia dal Colle di Rio. Un evento traumatico, che si è 
tramandato di generazione in generazione culminando con le “sassaiole” dei Riesi di su che non
desideravano i Riesi di giù il giorno di Pasquetta a Santa Caterina. Perché “Santa Caterina è nostra”.
 Fino alla seconda metà dell'Ottocento, la cosa pubblica era amministrata dalla classe costituita da
 proprietari terrieri, poco inclini alle modernizzazioni. Alla Marina di Rio, invece, era iniziato quel
processo che vide prendere sempre più vigore la marineria imprenditoriale, legata allo sviluppo 
dell'attività mineraria in pieno crescita, e quindi sempre più marcato desiderio di autogovernarsi. 
Obiettivo che fu centrato nel luglio 1882. Ma veniamo alle cronache di quei giorni così intensi e 
convulsi. Sono passati alla storia come le “Quattro giornate di Rio Castello”, quelle che culminarono 
successivamente con la scissione della municipalità riese in due enti distinti e che costituì, nel 1882, 
la nascita del Comune di Rio Marina, nato da Rio Castello. Un risultato assai travagliato e mal digerito,
 soprattutto della comunità collinare. All’origine della divisione il ruo coperto, 
nella seconda metà dell'Ottocento, dalla Marina di Rio, chiamata dai riesi del coccolo in su, 
in modo dispregiativo la “Piaggia”. Rio Marina era il settimo scalo commerciale d'Italia e allora 
per questo il deputato della Sanità Marittima era un personaggio di spicco. Lo era, difatti, 
Alessandro Del Bono, padre di Pilade. La famiglia Del Bono si legò in affari con gli Scappini e 
Tonietti che erano padroni di una quindicina di grossi bastimenti. 
Ma è con l'ascesa di Pilade Del Bono che si comincia formare nella nuova Marina di Rio una coscienza
politica. Dal 1850 al 1880 il piccolo villaggio di baracche di pescatori assistè a una crescita della 
popolazione, grazie all'imprenditoria navale e alla marineria padronale. 
Un raddoppio di residenti che si lega ai nuovi affittuari delle miniere di ferro, i Bastogi. 
Siamo in pieno periodo della rivoluzione industriale in Italia, che coinvolse anche le miniere dell'Elba. 
Il raddoppio della popolazione residente sulla Marina iniziò a creare problemi al Comune di Rio Elba.
I consiglieri della Piaggia crebbero di numero, fino ad arrivare di pari entità con quelli del capoluogo, 
per poi finire con il sorpassarli. Fino a quel periodo il municipio era amministrato da proprietari terrieri,
professori, notai, la cui rendita era fondiaria. Quelli della Marina invece erano legati al commercio 
e al mare. Tutti gli uffici erano a Rio. La Piaggia invece non era ancora urbanizzata. 
Le due formazioni consiliari cominciarono a darsi battaglia. Che sfociarono in disordini e 
rivolte di piazza. 
  
Ha scritto sullo “Scoglio” Chiara Bartolini: 
“Ci vollero la forza dell'ordine, l'esercito e i carabinieri per sedare la rivolta, della quale uno dei 
principali fautori fu Pilade Del Bono”. Le parti contrapposte ebbero spazio 
nelle colonne del periodico 
“Lo Sciabecco”, da dove Pilade accusò la classe dirigente di Rio Castello di essere invidiosa 
degli abitanti della Marina che avevano lasciato la lavorazione dei campi, per andare invece 
ad arare il mare. La scissione fu una conseguenza naturale. Dopo più di cento trent'anni, 
con la chiusura dell'attività di scavo nelle miniere a cielo aperto e, di conseguenza, 
il depauperamento dell'imprenditoria marittima, con l'unica risorsa rappresentata dal turismo, 
sebbene questo versante dell'Isola sia stato ampiamente violentato dall'industria miniera
 (e mai recuperato -se non in minima parte- dal punto di vista del ripristino ambientale), 
l'unica chance che si profila all'orizzonte da cui gli enti pubblici possano attingere alle risorse
 finanziarie è quella di unire le forze, per disporre un pacchetto unico da “vendere” nel marketing 
del turismo. Vediamo se i tempi sono maturi.
                                                                                                                                         L.C.

venerdì 17 febbraio 2017

Di due un solo Comune

C'è già il nome: il Comune di Rio. E lo scorso anno, esisteva pure la pagina Fb del gruppo che sosteneva il progetto. Una sola municipalità che raggruppa due comuni del versante orientale dell'Isola, Rio Elba e Rio Marina. Per ora se ne parla. Ma non c'è nessun statuto. Nessun regolamento. Esiste solo la disponibilità dei due sindaci, Claudio De Santi e Renzo Galli, ad affrontare l'argomento e il relativo percorso istituzionale da ricoprire insieme. All'insegna dell'unione che fa la forza. Stessa origine i due Rio: stessa costola. E poi, l'uno distante dall'altro non più di tre chilometri. Il primo, quello collinare il padre; il secondo, quello invece rivierasco il figlio. Ma cosa ne pensano i diretti interessati della proposta? Sono tutti d'accordo? Per ora non c'è univocità di consensi. Non tutti la pensano alla medesima maniera. Intanto un po' di storia che non guasta. La comunità riese cominciò a svilupparsi a partire dalla seconda metà del Duecento e descrisse la sua parabola per tutto il basso medioevo; oltre seicento anni vissuti in modo unitario fino ad arrivare al 1882, anno in cui la Marina di Rio ebbe riconosciuta l'autonomia dal Re d'Italia e quindi il distacco da Rio Castello. Ma la separazione non fu indolore. Sono passate alla storia come le “Quattro giornate di Rio Castello”, quelle che culminarono con la scissione del municipio riese. Un risultato assai travagliato e mal digerito, soprattutto dalla gente del colle. Le strade di Rio Castello e la sua “Piaggia” si divisero irrimediabilmente grazie allo sviluppo della Marina di Rio, che diventò nell'Ottocento il settimo scalo commerciale d'Italia. Per cui due mondi, due status sociali si scontrarono terribilmente, dandosi battaglia senza quartiere: l'imprenditoria marittima e commerciale della Marina che chiedeva l'autonomia amministrativa e la proprietà terriera rappresentata dalla classe notarile e borghese di Rio Castello che fu poco propensa alle novità e alle innovazioni, amante invece dello 'status quo'. Dal 1850 al 1880 quello che era il piccolo villaggio di baracche di pescatori assisté a una crescita incredibile della popolazione, grazie al commercio navale e alla marineria padronale. Un raddoppio di residenti che si legò ai nuovi affittuari delle miniere di ferro, i Bastogi. Siamo in pieno periodo di rivoluzione industriale in Italia che non risparmiò le miniere dell'Elba. Il raddoppio della popolazione residente alla Marina iniziò a creare problemi al Comune di Rio Elba che sfociarono nel “grande affronto” della separazione. Oggi, perduti i temi che hanno sostenuto il nuovo filone economico che guardava il mare e le miniere, le due municipalità si ricordano di avere un'origine in comune. Tutt'e due che nel Duemila sfidano la sorte economica del rilancio delle loro finanze, investendo sul turismo. Ma il “figliol prodigo” che riconosce la bontà amministrativa del vecchio padre sarà di nuovo accolto alla corte da dove era andato via, sbattendo la porta? Scrive sul suo profilo Fb il capogruppo dell'opposizione del Comune di Rio Elba, Pino Coluccia ed ex sindaco: “Il Comune è la prima forma di rappresentanza di una comunità e di autogoverno. In esso sono espresse le rappresentanze dei cittadini elette ed alle quali è affidato il compito di governare la comunità: il Comune è quindi un luogo di presenza, partecipazione e autodeterminazione di una comunità, dei suoi cittadini e che senza di questo conteranno meno. L'argomento di gestire insieme i servizi e le problematiche comuni si deve e si può affrontare con strumenti come l'Unione e altri quali l'associazione, ma evidentemente quella che manca nelle due entità è la volontà politica, cioè ci sono divisioni fra le forze politiche delle due realtà e all'interno di esse che non possono essere superate con espedienti istituzionali. Per cui – conclude - questa iniziativa dei due sindaci mi sembra più un'improvvisazione che nasconde un vuoto progettuale, di idee e prospettive per questi territori, per queste comunità una rinuncia a fare e agire”. Elvio Diversi, ex sindaco di Rio Marina, e l'unico (almeno per ora) primo cittadino a organizzare il primo centenario della costituzione del Comune nel luglio 1982, dice: “Se si dovesse fare oggi il referendum sulla fusione il 70/80 per cento della gente direbbe 'no'. Ci sono cose più serie da affrontare oggi che pensare alla fusione. Sono d'accordo sul progetto di unire i servizi ai cittadini, per il resto no. Concludo come dicevano i nostri nonni: 'Ognuno deve mangia' nel suo laveggio'”. Infine un ristoratore, il titolare del ristorante “Da Cipolla” in piazza del Popolo a Rio Elba, Davide Carletti: “Sono contento della proposta dei due sindaci. Finalmente esisterà il Comune di Rio che comprenderà collina e mare, parco minerario e mineralogico e porti. Una forma di semplificazione e maggiori servizi da estendere sul territorio. Sarà dura - conclude - Ma penso che sia la strada da battere nei prossimi anni”. La partita è appena iniziata.

sabato 28 gennaio 2017

Gli albergatori dell'Elba alle fiere del turismo europeo

L’Isola d’Elba in vetrina all’expo svizzera del turismo. L'ultimo salone delle vacanze frequentato dagli albergatori elbani è stato a Zurigo, alla 'Fespo', la fiera turistica internazionale. Sicché, dopo la “Fieren Messe” di Vienna e la Fiera di San Gallo in Svizzera, ecco un altro importante evento in terra svizzera. «La Fiera di San Gallo che si è appena conclusa - afferma Alessandro Gentini, vice presidente degli albergatori isolani - diventa sempre più importante per tante ragioni. Non ultima è che il cantone in cui ha sede la fiera è tra i più ricchi della Svizzera e molti sono i visitatori che provengono da qui. Quest'anno sono stati aggiunti altri spazi per poter ospitare i ben 440 espositori provenienti da ogni parte del mondo. L’Italia era molto ben rappresentata dalle solite regioni virtuose che si impegnano a promuovere i loro territori in maniera sempre più efficace. Ma oltre alle Regioni (Toscana esclusa), erano presenti molte amministrazioni comunali, consorzi d’area e aziende. Per gli espositori italiani quest’anno è stata creata un’area speciale chiamata Piazzetta Italia, dove sono state raggruppate la maggior parte delle aziende italiane, creando un’area dedicata di riferimento». Occasione per distribuire materiale informativo, visto che la maggiore isola della Toscana costituisce una destinazione molto richiesta. «E' avvenuto anche - continua il vicepresidente - che si siano presentati allo stand molti ospiti che, pur frequentando l’Elba da decenni, per salutarci e gustare i prodotti che oramai costituiscono un brand benvoluto». Non sono poi mancate le curiosità. Come quella di dire dove si trovasse l’Elba. «In diversi - aggiunge Gentini - ci chiedevano se l’Elba era in Francia o in Grecia. Noi abbiamo cercato di raccontare al meglio la nostra Isola, usufruendo anche delle immagini proiettate sullo schermo. La Svizzera rappresenta per noi un mercato straordinario da espandere, secondo mercato in termini assoluti, ma il primo in proporzione». Quest’anno gli albergatori puntano molto sul festival musicale “Magnetic Festival” organizzato dalla Maggy Art, in cartellone a luglio, nelle vecchie miniere di Capoliveri. Il consorzio ha preparato per questa manifestazione un pacchetto speciale. «L’iniziativa - conclude Gentini - è sostenuta economicamente dalla signora Schindler che da anni ama e frequenta Capoliveri. A lei un sentito ringraziamento. L'accordo con Sky Work che coprirà la linea aerea con Zurigo nel 2017 consentirà di recuperare una parte delle presenze perdute nel 2016, quando l’Elba è rimasta scoperta di importanti collegamenti aerei».

Cavo, terme sì... o no??

La frazione di Cavo, da punta di diamante per l'ex comune minerario di Rio Marina per quanto riguarda lo sviluppo di aziende turistiche prevalentemente a conduzione familiare, a zona depressa dal punto di vista economico: il passo è stato celere. Una mano (forse) a far precipitare le richieste di soggiorno nella famosa località balneare del versante nord est dell'Isola è stato, nei primi anni del Duemila, il ripascimento dell'intero sviluppo costiero con materiale di scarto proveniente dal comparto minerario. Fatto sta che, a ogni mareggiata, il mare sollevava il fondo marino con il risultato finale di trasformare l'acqua, prima così tersa e limpida, in una poltiglia fangosa, per nulla invitante a farci il bagno. A chiudere il quadro, la crisi strisciante che ha investito l'Europa e l'Italia e che ha decimato i clienti abituali che si fermavano (fino negli Settanta-Novanta) anche per quindici giorni nelle strutture alberghiere che qui erano sorte. Erano a conduzione familiare, dove si poteva trovare cordialità, accoglienza e buona cucina, quella semplice fatta a chilometro zero, quando neppure si parlava di questa formula, eppure qui si praticava. La famiglia aveva il proprio orticello da cui prelevava, pomodori, verdure e altri prodotti dell'orto che venivano serviti in tavola. E il pesce appena pescato dal capofamiglia. Oggi niente è rimasto così. Che Cavo avesse la vocazione a essere una località turistica lo si era intuito fin dagli inizi del secolo scorso, quando il concessionario delle miniere Tonietti la elesse come luogo di villeggiatura per sé e per la sua famiglia, erigendo una villa sul mare con relativo porticciolo. La frequentarono personaggi del calibro di Marinetti e Simenon. Oggi le cose sono cambiate. I suoi abitanti chiedono maggior attenzione all'amministrazione comunale e investimenti sulla frazione che possano garantire prosperità e benessere. L'ultima assemblea che si è tenuta, nei giorni scorsi nei locali della Misericordia alla presenza degli amministratori, ha evidenziato questo. Fino ad arrivare alla novità assoluta: la richiesta di realizzazione, cioè, di un impianto termale, sfruttando l’acqua calda a 47,7 gradi che fuoriesce dal pozzo di Valle Baccetti (portata di 12 litri al secondo) che rappresenterebbe la chiave di volta dal punto di vista del rilancio economico non solo della frazione di Rio Marina, ma dell’intero versante ex minerario. Più facile a dirsi che a farsi, se non ci fossero le solite pastoie burocratiche. Ma l'assemblea ha lanciato un segnale: tutti (amministratori e amministrati) hanno concordato nel voler fare sistema. Non più, dunque, critiche. Bensì proposte di collaborazione. I dati ricordati nel corso della riunione sono purtroppo noti: attività artigianali e commerciali che chiudono. Giovani che non hanno prospettive col rischio di vedere la frazione di Cavo sempre più depauperata di forze per il ricambio generazionale. «I contraccolpi della crisi economica che ha investito il nostro Paese - ha aggiunto il vicesindaco, Giovanni Muti - si sono fatti sentire anche qui. Cerchiamo, insieme, di invertire la tendenza per uscire da questo stato delle cose». Scontato che alla fine si finisse di parlare delle terme e del loro eventuale posizionamento. Non c'è una persona a Cavo che si sia pronunciata a favore di Cala Seregola, nell’ex comparto minerario, la zona che dista dal centro abitato circa 6 chilometri ma che avrebbe di contro la giusta volumetria di fabbricate esistenti. «Ma c'è un problema - ha messo la mani avanti Galli - bisognerebbe ottenere dal Parco che ne è proprietario il cambi di destinazione d’uso. Passaggio che non è facile raggiungere, visto che se ne parla da tempo senza riuscire a portare a casa qualcosa a noi favorevole». Tutti i cittadini presenti in sala hanno espresso il loro parere secondo cui l’erigendo stabilimento non debba essere discosto dal centro abitato. Le ex cave delle Paffe, un sito abbandonato dalle miniere e mai però recuperato dal punto di vista ambientale, potrebbero essere l’ipotesi più praticabile. «Ma il luogo - ha puntualizzato il sindaco di Rio Marina - ricade sotto le direttive del Pit regionale che stabilisce di non erigere nuovi fabbricati nei primi trecento metri dalla riva del mare». Un nodo gordiano di difficile scioglimento. «Il nostro impegno - ha incalzato Giovanni Muti - è quello di dare risposte certe ai cittadini, rispondere alle loro esigenze e ai loro bisogni. Per questo continueremo a lavorare per vedere di realizzare il progetto termale, sperando di non impiegare tempi biblici». Alla riunione anche Fabrizio Baleni: «Non ho parlato come consiglieri di minoranza - ha detto al termine dell’assemblea - ma da semplice cittadino che vuole risolvere i problemi per il bene di Cavo. Non sono tanto d’accordo con il sindaco Galli quando dice che niente vieta che gli imprenditori locali possano usufruire dell’acqua calda per le loro necessità. Bisogna andare nella direzione di costruire lo stabilimento termale. Poi - ha concluso - viene tutto il resto».