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sabato 8 ottobre 2022

Napoleone e l'Elba

 


Era già arrivato settembre, sull'isola. Da quegli addii di Fointanebleau non si era salvata la famiglia, quella che per ambizione, più che per amore, si era formato l'imperatore. In quell'isola già prossima all'imperio del ricordo preparava ogni cosa con scrupolo, appartamenti, arredamenti, la servitù, ma nulla parlava più del sole, del mare intorno. Le lettere che arrivavano erano poche e controllate, e così pure le informazioni. Egli era già divenuto un brigante, su quel trono da farsa dell'isola, ed ella era restata una regina, ostaggio dell'intrigo dei vincitori. Ne pativa l'imperatore il fascino, la giovinezza, la superiorità mai vinta del lignaggio. L'attendeva ansioso, legittimato dal matrimonio, ma vanificato dai fatti. Ella invece già tornava al suo, già accettava la corte di un ufficiale, già tornava alla protezione paterna, al riparo dall'avventuriero. Tornava al mondo conosciuto. Tergiversava alle acque termali. Rimandava...Verrò dopo Aix, dopo Parma, a giugno, a settembre, il prossimo inverno, siate comunque sempre certo del mio affetto, mio buon amico... Lasciava l'imperatore nel dubbio, a farsela col suo fantasma. Egli scriveva, e non otteneva risposta. Scriveva lettere senza riceverne, e questa condizione, anziché esacerbarlo, lo prendeva ancora più all'amo dell'intimità, dalla parte uncinata degli affetti. Ella intanto spariva lentamente, fisicamente e definitivamente, come il resto dell'epopea, dalla vita di lui. Restava l'isola, e i suoi stretti confini di vento e di mare.  ...Mi basterà un piccolo appartamento, per quando verrò a trovarti... - gli scriveva rassicurandolo - ...abbiate solo la compiacenza di provvedere a un giardino...trovo crudele che da Parigi non vi abbiano mandato quei fiori... Costruiva intanto l'imperatore. Amministrava. Perfino nel chiuso di una cella avrebbe trovato il modo di impartire compiti ai topi. Ripuliva, edificava il palazzo, quasi avesse davanti un vaso futuro da offrirle. Attendeva. Voleva farsi trovare pronto. Domandare di dividere insieme la caduta...la disgrazia? Quasi che non meritasse la grazia di lei, egli non le imponeva la presenza, né di condividere l'esilio. L'attendeva piuttosto come un regalo. Era del resto un affetto istituito, dovuto quasi, legato dal sacramento ancestrale della maternità. ...Vostro figlio, il re di Roma, sta bene, siatene sicuro come del mio affetto... Ma niente di quell'artificio bastava. L'imperatrice non veniva. E nemmeno faceva avere notizie di sé, si dava malata. Tutto quel piccolo regno viveva l'onore di riceverla come sua unica legittimazione. L'imperatore stesso spariva di statura. Senza famiglia era soltanto uno scapolo sconfitto.  Egli aveva però un'amica. Il genere di donna a cui aveva donato la brillantezza del corteggiamento, lo smalto del fuori di casa, la leggerezza della tournée vittoriosa, quando si passa in corsa, a cavallo, sull'onda della gloria, e gli altri rimangono a terra, fermi al passaggio, attendendo un ritorno. Restò negli anni quell'amica come una finestra di luce lontana, un'immagine azzurra. L'amica a cui si scrive con libertà, cui si offre il fuoco d'artificio della propria compiuta natura. Anche nell'aspetto ella restò fantastica. Come una nuvola chiara...il bagliore dei suoi capelli, già slavi, polacchi, nobilitata da quell'aristocrazia di famiglia che l'elevava, ma non ingombrava come il peso delle dinastie. Venne inattesa, l'amica, in un giorno di settembre. Venne al comando del cuore. Al suo arrivo fu scambiata per l'altra tanto attesa, ed ella dovette fare della notte un velo. Fu coperta agli sguardi da quelli stessi uomini che avrebbero dovuto ostentare i fasti della legittimità coniugale. L'imperatore l'accolse nel buio stellato del monte Capanne, su, al romitorio di Marciana.  Lì aveva una tenda da campo, un eremo in cui si rifugiava al riparo delle curiosità isolane. La fece accomodare e una volta dentro, con la complicità che si riserva all'amante, disse " Voici! Mon palace!" E in quel palazzo rimasero chiusi due giorni e due notti. Godette di quell'affetto, della festa inattesa dei sensi,fino a che poté, ma il suo cuore illividito gli impedì di goderne appieno. Ella scompariva di fronte all'edificio della legittimità costituita, della storia a venire, della vita da fare. Non poteva arrivare oltre. Le sue parole e i suoi gesti non potevano cadere altrimenti che con il peso leggero dell'avventura. Le ore passavano e cresceva nella tenda l'inquietudine. Egli si sentiva sempre più scoperto e perduto. D'un tratto, l'imperatrice, che non dava più notizie di sé da mesi, si era fatta più vicina che mai. Ne presentiva la venuta, poteva addirittura arrivare da un momento all'altro, occorreva fare presto, spiegarsi, agire subito. Anche in tutto quell'esilio veniva a valere infine il ruolo dell'amante, a cui la casa è preclusa, l'amante che si raggiunge fuori, quando la vita è altrove. Egli con lei, in quell'isola, era già un clandestino. Eppure in quel momento la vita gli porgeva l'ultima occasione di tenere vicino a sé un affetto, una compagna che avrebbe reso più amorevole l'esilio. Ma a quella possibilità riservò quei due giorni soltanto. Pianse lacrime dignitose l'amica, dopo i discorsi che le arrossarono gli occhi. E intanto veniva organizzato che partisse di notte, col mare grosso di vento. Dovette partire col buio, più di notte che di giorno. Accompagnati da un ufficiale al seguito, mossero a cavallo nella macchia. L'imperatore la scortò fino a un bivio impervio, e poi li lasciò proseguire soli. Se ne pentì subito. Diede anzi ordine di fermare i partenti, ma il tempo era peggiorato, e l'ufficiale preposto rinunciò all'inseguimento, attribuendo al destino la fatalità della partenza. Rimase a lungo pensieroso nella notte inquieta l'imperatore. Poi tornò a Portoferraio, negli appartamenti. Girò di nuovo tra le stanze allestite, e in breve riuscì a ritrovare quella sensazione di casa che si era sforzato di inventarci. Il santuario che aveva edificato con la dedizione dell'assenza. Mantenne le stanze pronte, in ordine, carezzando dentro di sé al caldo del suo piccolo regno il luogo che aveva conservato per lei.

L'imperatrice non venne mai.

Non seppe mai.

Nemmeno Bonaparte ne seppe più nulla.

Continuò fino alla fine a dipingerla con parole di tenerezza.

Un mese dopo accettò la compagnia di una cortigiana, che si installò alla piccola corte di Portoferraio.