La seconda parte dell'esperimento realizzato dall'azienda
Arrighi di Pian del Monte si è conclusa ieri mattina con il recupero delle sei
ceste di vimini cariche di Ansonica, lasciate immerse per cinque giorni a sette
metri di profondità su un fondale di nove metri, nel golfo di Porto Azzurro,
sull'esempio di quanto era praticato a partire dal VII a.C. sull'isola di Chio.
Si tratta di far appassire l'Ansonica in un più breve tempo rispetto a quello
tradizionale (solo con l'esposizione dell'uva appena colta esposta sui graticci
al sole), esaltando le sue qualità e i suoi valori. È quanto cercheranno di
dimostrare Antonio Arrighi e le due laureande in viticoltura Giulia Arrighi (Università
di Firenze) e Naomi Deaddis (Università di Pisa) che su questo faranno la loro
tesi di laurea. A queste si è aggiunta l'enologa dell'azienda Laura Zuddas.
L'esperimento prende le mosse da una ricerca di Attilio Scienza, docente
ordinario di viticoltura all'università di Milano e concretizzata dal titolare
dell'azienda di Porto Azzurro Antonio Arrighi. «Ora si tratta di verificare -
chiarisce la seconda parte dell'esperimento lo stesso Arrighi - se davvero
l'uva che è stata tirata fuori dalle ceste in mare "appassisce" prima
rispetto a quella non trattata. Sta di fatto che la prova che abbiamo messo in
essere è la prima in senso assoluto che si tenta di realizzare dopo duemila e
400 anni». Il mare, in pratica, con la sua azione salina elimina dalla buccia
dell'uva la patina di pruina, quel velo ceroso che viene creato dalla pianta
sulla superficie degli acini, mantenendo però i valori e le qualità
organolettiche. Le stesse che, nel mondo antico, avevano fatto apprezzare un
po' da tutti gli abitanti del bacino del Mediterraneo il vino che si produceva
su quest'isola greca dell'Egeo. Al punto tale da essere paragonato al mitico
Falerno. «E dal momento che è stato verificato - continua sempre il viticoltore
Arrighi - che la nostra Ansonica ha delle notevoli analogie genetiche con
l'Ansonica-Inzolia, allora mi sono chiesto: perché non riprendere quella
tecnica e riportarla in auge, sempre operando su un prodotto di alta qualità?».
Così è avvenuto con la prima parte che è consistita nella vendemmia e nell'immersione
dei grappoli nelle ceste in mare, grazie ai sub Francesco Croci (Lavori
Subacquei), Piergiacomo De Cecco e Chiara Luciani (Biodivers-Elba Sea Academy).
Dopo il recupero dell'uva avvenuto ieri mattina a cui ha partecipato con un
servizio di coordinamento e sorveglianza il personale dell'ufficio marittimo di
Porto Azzurro e della Guardia costiera della Capitaneria di porto di
Portoferraio, ora è iniziata la terza parte dell'esperimento con l'esposizione
sui graticci dei grappoli. Quelli che provengono dalle ceste da una parte,
messi però accanto a quelli che invece non hanno subito tale trattamento e che
sono stati raccolti lo stesso giorno del recupero (ieri). Tutto si giocherà sul
tempo d'esposizione al sole degli acini prima che questi appassiscano. E il
risultato è tutt'altro che scontato. A completamento dell'intera operazione si
eseguirà la pigiatura nella gabbia degli acini. Il nettare che si ricaverà sarà
messo in anfore di terracotta a fermentare. Insomma esattamente come avveniva
nel mondo greco, a partire dal VII a.C. in poi. «Faremo però un trattamento
medio - corregge sempre Antonio Arrighi - perché questo è semplicemente un test
che poi sarà vagliato e analizzato attentamente». E qui entrerà in gioco
l'Università di Pisa che collabora con il team elbano per condurre le varie
analisi sul prodotto ottenuto dalla vendemmia di quest'anno. Ogni singolo
passaggio è stato documentato con fotografie e filmati. Il materiale sarà
presentato a Montpellier (Francia), in occasione del Festival del Vino che si
svolge ogni anno nel mese di settembre.
L'isola di Chio era famosa nell'antichità perché produceva
un vino prelibato, un "vino per ricchi", come lo definì Plinio.
Faceva bella mostra di sé sul ricco mercato di Marsiglia e figurava giustamente
della cerchia di vini greci. Il vino di Chio era dolce e alcolico. Aveva una
prerogativa che altri produttori non possedevano. Che cos'era che lo rendeva
aromatico a lungo? Una pianta che cresceva solo sull'Isola, il terebinto, e la
presenza del sale nel vino derivato dall'immersione per alcuni giorni dell'uva
in ceste.
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