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venerdì 16 giugno 2017

La festa del Padreterno

Domenica scorsa, 11 giugno, si festeggiava la ricorrenza della Ss. Trinità. Meglio conosciuta come la festa del Padreterno. A Rio nell'Elba, sul versante orientale dell'Isola, si trova l'unico tempio sacro esistente sull'Isola dedicato alla Trinità. Che meraviglia c'è, se nel corso dei secoli questa località è sempre stata fatta oggetto di venerazione da parte delle popolazioni di questo versante e non solo? Non è mancata pure quest'anno, anche se, in questa recentissima occasione, qualcosa non ha girato per il verso giusto. Mi riferisco all'affluenza di fedeli, sebbene non siano mancate le celebrazioni liturgiche con il triduo di preparazione all'evento e con le celebrazioni delle messe. Ma a chi ha superato come me i sessant'anni, viene spontaneo fare un raffronto fra quelle che erano le feste del Padreterno negli anni scorsi e le moderne edizioni. Dal paragone non può che rimanere sconcertato. Cosa è mai avvenuto? Perdita di valori? Crisi spirituali? Smarrimento di fede? O, peggio ancora, non sapere più chi siamo, nella consapevolezza di aver perduto il bagaglio di tradizioni da consegnare alle nuove generazioni? Un po' di tutto questo. E altro ancora. La festa del Padreterno 2017 è stata una ricorrenza squisitamente religiosa. E basta. Qualcuno sarà contento, ma quella frenesia, quella agitazione popolare che si riscontrava in questo periodo particolare dell'anno, oggi non s'è avvertita. Negli anni Sessanta noi ragazzi capivamo che si avvicinava la festa da una decina di giorni prima. Era la festa che salutava la primavera. Per noi era un'esplosione di giubilo, visto che potevamo spingerci a giocare oltre le mura del paese e arrivare alla chiesetta che dista circa un chilometro dal paese. Lo si capiva dalla donne pie, che nel tardo pomeriggio si recavano a frotte in preghiera per la pratica della novena. Lo si intuiva dai minatori che, al termine del turno di lavoro a Rio Albano, o alla miniera del Ginepro, si mettevano sulle spalle i piloni di legno per costruire la luminaria di lampadine lungo la strada che dal paese portava alla chiesetta. E che spettacolo ammirarle di notte. Lo si desumeva dalla croce in ferro battuto, tutta illuminata di sera con cento e passa lampadine che veniva issata sul campanile e dalla facciata della chiesa parrocchiale illuminata anch'essa come mai lo si era visto. Tutto questo in preparazione. E il giorno della festa, solenne processione con la banda musicale e i bambini e le bambine della prima comunione in abiti della cerimonia ad aprire il corteo dietro allo stendardo rosso, come erano rosse le colline delle miniere. Centinaia di persone che raggiungevano la chiesetta e assistevano sotto il porticato o nei campi alla messa celebrata il più delle volte dal vescovo. Venivano da altri paesi i fedeli che il tempietto non riusciva a contenere. Riesi che risiedevano in continente, ma che per il Padreterno tornavano al paese, per presentarsi davanti al quadro e dire “Eccomi”. Un desiderio intimo, non solo di appartenenza alla comunità, ma avere dentro di sé la certezza di avere per amico Dio. E se il rapporto non si intendesse in questi termini, che senso avrebbe nell'Ottocento che i maggiorenti del Comune appena eletti venissero qui a giurare fedeltà allo Statuto comunale? Il sacro che si sposava con il profano. Chiamando Dio a testimone delle proprie azioni. Non si giura forse ancora sulla Bibbia nei processi degli Usa? Gli antichi Etruschi non interpellavano forse i Lucumoni per le loro maggiori imprese? Noi non proveniamo da questo unico ceppo di popolo? Non è forse qui che la gente riese e poi elbana si riunì nella festa del Padreterno del maggio 1915, per chiedere la protezione divina sui propri figli, mariti, fidanzati strappati dai campi, dalla pesca o dalle miniere chiamati alle armi allo scoppio della Grande Guerra? Non accadde proprio qui, nel tremendo inverno del 1944, che la popolazione trovò le coperte militari con cui ripararsi dal freddo o per farci dei cappotti per l'incipiente inverno? Potesse, questo stupendo quadro della Trinità del XVIII secolo, raccontare le vicenda di cui è stato testimone, riempirebbe pagine e pagine di scritto. Se considerate tutto questo, non vi stupirete se l'allora vescovo della diocesi di Massa Marittima, Faustino Baldini, al termine dell'ultima guerra, riportò dalla canonica della parrocchia riese dove fu conservato il quadro della Trinità nella sua storica dimora, guidando una processione che i vecchi ancora ricordano? Le donne furono invitate a mettere fuori dalle finestre le coperte migliori. Una festa popolare in grande stile. E poi c'è l'aspetto per così dire pagano del Padreterno. Me l'ha ricordato un anziano in carrozzella che stazionava, quest'11 giugno, sotto i portici, all'ingresso della chiesetta. “Te li ricordi gli archi di mortella? – mi chiese – E le bandierine in piazza? E la corsa dei cavalli, le gare delle biciclette? Le bande musicali in piazza e la sera il ballo finale, con i fuochi artificiali a mezzanotte?”. Oggi niente di tutto questo. Una tabula rasa. Che rischia addirittura di annullare la memoria. Mentre quell'uomo parlava, mi veniva a mente il passo che dice che è necessario che il seme muoia, per portare frutto. La mia allora non era altro che una testimonianza della fine di un'epoca fra il Novecento e il Duemila. E l'annuncio di tempi nuovi. Di nuove frontiere. Sarei dovuto partire dal Padreterno con la morte nell'anima. Invece uscivo, rendendomi conto che stavo aprendo le porte alla speranza, convinto com'ero che sarebbero arrivate nuove stagioni per l'Uomo. Con quali forme, sotto quali aspetti, era tutto da scoprire.

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