Se
chiedi, a chi ha trascorso la preadolescenza negli anni della
ricostruzione del Paese dopo la disfatta dell'ultimo conflitto
mondiale ed era fanciullo durante il boom economico, se ricorda di
essere stato felice. Di sicuro ti risponde di quando si trovava nelle
vie di paese assolate e torride d'estate. Con le scuole chiuse.
Quindi libero da impegni cogenti. La libertà di essere padrone di
organizzare il tuo tempo la misuravi attraverso i tuoi passatempi
preferiti, che consistevano in una incredibile varietà di giochi da
organizzare insieme con i coetanei nel vicinato. Dalla creazione di
tricicli, alla realizzazione di cerchi che utilizzavi in epiche gare
impiegando forcelle ricavate con il fil di ferro, ai duelli infiniti
con le biglie su percorsi improponibili, ricavati sulle strade che
non erano ancora asfaltate. Erano gli anni in cui le madri mandavano
liberamente i figli per strada a giocare, tanto le macchine non
c'erano (o almeno erano poche) e, quando ne passava una, occorreva
farsi sul ciglio e non respirare per qualche secondo per non
starnutire a causa della polvere sollevata. Sì, erano tempi in cui
si era felici, anche se mancavamo di tutto: le autovetture non
avevano, al loro interno, l'aria condizionata, ma in compenso
mostravano sul tettino il portabagagli. Nei paesi isolani si
contavano sulle punte delle dita le persone che potevano permettersi
un'automobile. Ce l'aveva anche un commerciante di generi vari che
gestiva sulla strada più frequentata della Città un negozio di
alimentari. D'agosto, con il caldo che faceva, teneva aperte le
finestre in modo tale da far corrente con la porta d'ingresso: quando
entravi ti impegnavi a far presto per restare dentro il meno
possibile. C'era di tutto, in quel negozio: una sorta di emporio che
accontentava le esigenze delle comari. Aveva un casolare in campagna,
dove puntualmente, ogni estate, si ritirava con la moglie, vecchia
come lo era lui. Facile scorgere sul portabagagli qualsiasi tipo di
mercanzia, la più varia che si portava appresso. Erano gli anni in
cui anche gli artigiani, gli operai possedevano, ognuno, un magazzino
fuori di paese. D'estate la Città si svuotava, come qualsiasi altro
centro urbano. Si andava nel podere a trascorrere i mesi più caldi
dell'anno. Chi ne aveva uno in vicinanza del mare. Chi invece in
collina (era invece la maggioranza) con appezzamenti di terreni
coltivati a vigne e orti. Il mare non aveva l'attrattiva che riveste
oggi. Si preferiva la masseria per dedicarsi alle cure delle viti o
ai frutti dell'orto, se non agli animali domestici. Erano gli anni in
cui anche i pensionati potevano godersi la vita dopo i sacrifici e
ognuno possedeva qualcosa, da lasciare agli eredi. E non guadagnavano
cifre esorbitanti. Eppure avevano una casa in paese e un manufatto in
campagna. Quando poi si decideva di fare una spiaggiata, ci si
portava dietro perfino le sedie e i tavolini pieghevoli di plastica.
E immancabili gli spaghetti al sugo da condividere con il resto della
famiglia in parti uguali. E per merenda un uovo lesso, da
accompagnare con la schiaccia del forno preparato a legna. Altro che
contenitori frigo di plastica e bottiglie di acqua naturale. Avere un
thermos con il caffè era un lusso. Ho imparato allora che in ogni
spiaggia in cui si andava (mai la stessa, nella medesima stagione)
c'era la sua brava sorgente di acqua fresca. Così a Ortano so
dov'era l'acqua, anche se dovevi entrare in un terreno privato. Ma il
proprietario sapeva che ero entrato per bere e non per rubare
ortaggi. Come a Nisporto, nel pozzo della Ballerina, Nisportino, o
Barbarossa, non molto distante dalla spiaggia. Bastava portarsi da
casa un contenitore. L'acqua era sul posto. La felicitàaveva
l'aspetto di un'estate sull'Isola, con le macchine fotografiche
ottenute con i bollini della spesa e i rullini da 12 o 24 pose.
Dovevi stare attento perché non venissero mosse. Le novità e il
progresso venivano dal mare, dai traghetti che trasportavano i primi
turisti. L'ebrezza di vendere gli “scherzi” (come si chiamava la
pirite) ai turisti stranieri al Padreterno o sul Volterraio. A
nessuno di noi era mai balenato in testa che quei pezzi di minerali
che i cavatori ogni tanto portavano dalle miniere potessero
significare qualcosa, tanto meno ricavarci dei profitti. Eppure fu
così che guadagnai le prime cento cinquanta lire, che investii in
gassose e ghiaccioli all'arancio. Erano gli anni in cui nascevano le
prime discoteche dove ci si recava per un'avventura, con le ragazze
che stavano sedute ai tavoli e attendevano l'invito di noi ragazzi. E
poi, quando l'avventura finiva con la partenza dall'isola delle
ragazze, le cartoline spedite in città, o le telefonate fatte dalle
cabine con i gettoni. La testa piena di sogni. Eppure si era felici,
anche senza usare lo smartphone. Non avevamo ancora la connessione a
internet, ma erano quelli i tempi dell'età dell'oro della nostra
generazione. La felicità semplicemente stava in quei materassi
arrotolati che mettevamo sopra il portabagagli delle macchine, oppure
sulle groppe degli asini che ci aiutavano a portarli nei magazzini di
campagna da stendere sui sacchi di vegetali su cui prendere sonno
nelle notti caldi di agosto. Albergava lì, e non possedevamo nemmeno
la password.
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