Come ogni anno, anche quest’anno, per le piazze del paese di
Rio nell’Elba e le sue viuzze medievali si è cantata la Befana, il canto con
cui un gruppo di volontari riesi, accompagnati da quattro o cinque strumenti
musicali, faceva il giro delle famiglie del paese e fermandosi ai portoni dava
l’annuncio che era nato il Redentore del Mondo in un lontano borgo della
Palestina e augurava al padron di casa e a tutta la compagnia le più belle nove
che si potessero immaginare. A patto poi che il padron di casa, sentendosi
chiamare per nome, non si affacciasse sulla soglia di casa e a quei quattro
cantori e musicanti non aprisse la cantina per far loro assaggiare il vino
novello di vendemmia. Quando poi non c’era anche da consumare uno spuntino a
base di salame o salsicce comprate fresche fresche al macello di Romeo. Sicché,
fermati da una parte, rifai una sosta da un’altra (non si poteva rinunciare di
non accettare il piccolo rinfresco, altrimenti il capofamiglia si sarebbe
offeso), alla fine i befanotti più che gioiosi finivano per essere brilli e le
note, vuoi per il freddo dei grigiori invernali, vuoi per effetto del brunello
così generoso, stentavano a uscire dagli ottoni e il capo corista non faceva
più notizia se si scordava le parole. Così si continuava fino a tarda notte. E
per noi fanciulli che andavamo a letto abbastanza presto, altrimenti la Befana,
vedendo ancora accesa la luce di cucina, non avrebbe riempito le calze che
pendevano dal camino pronte ad accogliere i regali che avevamo richiesto,
facevamo fatica ad addormentarci per l’agitazione. Ma volevamo aspettare il
concertino dei musicanti e sentire pronunciato dal coro il nome della nostra famiglia.
Era segno di rispetto. Ma anche d’importanza nel contesto paesano, che faceva
crescere l’autostima degli interessati. Così era la tradizione. Così si faceva
nel corso degli anni. Tutto questo avveniva in comune accordo fra i musicanti e
il gruppo di volontari, gli stessi di ogni anno. Ma all’epoca, l’evento non
richiamava tante persone. Come accade oggi. Com’è avvenuto nell’ultimo evento
di quest’anno. Una traccia di quest’antica usanza ce la fornisce lo storico
Eugenio Branchi, già nel 1839, che aggiunge anche il testo del canto.
Eccolo, come ci è stato documentato: «Noi vi diam la buonasera, generosa
compagnia, saluteremo il padron di casa con la nobil compagnia. Santa nova noi
vi diamo: che l'è nato il Re del Mondo in un parto così giocondo, noi convien
che l'annunziamo. Egli è nato in Betlemme, in città della Giudea presso di
Gerusalemme, sopra il fien dove giacea. Per presepio una capanna, fatta l'è di
stipa e fieno, la soffitta era di canna, le lucenti a ciel sereno. I Re Magi
sono partiti dalla propria abitazione, sono giunti a questi lidi per trovare il
Redentore. "Buona gente, dove andate che portate tanti doni?"
"Noi andiamo a trovare il Signore dei signori". Falso Erode e
traditore diede luce ai suoi intenti, per uccidere il Signore fece strage
d'innocenti. La Madonna fu avvisata che di lì fosse partita, ubbidiente all'imbasciata
si nascose fra la stipa. Ma la stipa traditora in quel punto fu fiorita, diede
segno a tali signori che di lì fosse partita. "Buona donna, dove andate e
in grembo che ci avete?" "Io ci ho quel che cercate, gran Signor se
lo volete." Un di loro la guardava per vedere cosa ci aveva, e dal grembo
grano versava, bel miracolo faceva. La Befana abbiam cantato in onor di Dio
potente, saluteremo il padron di casa. Felice notte, o brava gente». E
annunciava che i cantori e i musicanti sarebbero ritornati il prossimo anno, come
puntualmente avveniva. Fino a quest’edizione 2018. Naturalmente le strofe
venivano di volta in volta riviste, adattate e anche semplificate. Ma
soprattutto ridotte. E non si sa se per ritornare presto nelle proprie case o
se succedeva per effetto delle troppe frequentazioni nelle cantine dei
cittadini riesi. A questo proposito ricordo un episodio (anch’io feci parte,
quando l’età me lo permise, del gruppo dei cantori riesi) che riguarda il
suonatore del tamburo. Durante uno degli spostamenti dei befanotti tra il rione
alto e quello basso del paese, lo perdemmo. Ce ne accorgemmo solo quando ci
disponemmo per cantare alla porta di un riese ai Canali. Eseguimmo il pezzo. Ma
al termine ci mettemmo a cercarlo. Lo trovammo lungo uno stradello, disteso
sotto un enorme lentisco con il tamburello sopra il torace. “C’era buio e sono inciampato
– si giustificò – Però sono stato bravo – concluse – Nella caduta sono riuscito
a non romperlo”.
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