La fase 2 del coronavirus vede la rinascita dei piccoli negozi di
quartiere. Si scopre l’importanza di avere un punto vendita sotto casa,
così a portata di mano. I piccoli commercianti si sono attrezzati al
meglio per soddisfare i bisogni della comunità, organizzando la spesa a
domicilio per chi non poteva o non voleva uscire di casa. Relegati in un
angolo dalla grande distribuzione con la maggior parte di questi
destinata (purtroppo) all’estinzione, oggi i piccoli esercenti si
scoprono di grande utilità e riacquistano, sebbene con le difficoltà
impresse dal particolare momento della pandemia, una seconda vita. Si
rivelano vitali per le esigenze della gente. Fino a poco tempo fa
appiattiti dal rullo compressore degli ipermercati, si prendono oggi la
loro rivincita, non dimenticando la loro naturale vocazione: il prodotto
di qualità. “Con tutte le osservazioni e le prescrizioni dettate dalle
norme del governo – dice al nostro giornale Matteo Geri, gestore del
negozio ‘Casa del Formaggio e Salumi – Parmigiani’ al Ponticello –
riusciamo a soddisfare le richieste della nostra clientela, sebbene si
debba entrare una alla volta all’interno del nostro negozio. Di sicuro
gli incassi non sono più come quelli di una volta, quando facevamo l’ape
ricena oppure offrivamo la possibilità di uno spuntino. Tutti prodotti
genuini che riuscivamo a farci portare dai nostri fornitori. Questo vale
sia per gli insaccati, prosciutto, formaggi, vini e generi vari
alimentari. Da trent’anni che siamo in attività, e tutto lascia pensare
che continueremo a esserci anche dopo il coronavirus, sia pure con
qualche sacrificio”. Il negozio in centro che la famiglia Zini da oltre
50 anni si tramanda da una generazione all’altra, vive la crisi, ma ha
saputo adattarsi e reagire alle nuove situazioni. Rinomato per la
produzione di carne suina, non solo nel comprensorio elbano, ma in tutta
l’Elba, offre i suoi servigi alla clientela. “Abbiamo deciso in questa
fase – dice Elisa Zini che gestisce il negozio insieme con il compagno
Sava Florin – di applicare l’orario di apertura in vigore d’estate, cioè
aperto solo la mattina e il pomeriggio chiuso, appunto per evitare ai
portoferraiesi di uscire di casa (che prima della fase 2 non si poteva) e
anche scoraggiare che si formasse fuori dalla porta la coda di clienti.
Ma c’è di più”. Ecco allora che il negozio sotto casa che pareva essere
stato umiliato dalla grande distribuzione che offriva un prodotto a
costi contenuti, si è rivelato prezioso nell’offrire un servizio alla
collettività durante tale emergenza sanitaria, facendo anche saltare le
code ai supermercati. Questo grazie alle moderne tecnologie, effettuando
la spesa online all’interno della città. “Prendiamo le richieste –
aggiunge ancora Elisa Zini – nella maggior parte dei casi sono nostri
abituali clienti, anche di una certa età e poi ci occupiamo di portare
alle loro case quanto ci avevano ordinato. È chiaro che poi dovevamo
risolvere una serie di problemi come quelli di gestione degli ordine, i
pagamenti e così via. Ma diciamo che ce la siamo cavata abbastanza
bene”. Nel mercato vecchio della città c’è un altro negozio, la
macelleria Rossi, anch’essa passata da padre in figlio. Anch’essa famosa
per le qualità delle carni. Ma c’è qualcosa in più. Ce lo riferisce
Francesco Rossi: “Con i divieti di spostarsi da una paese all’altro –
dice – ho momentaneamente perduto clienti che venivano da me da
Capoliveri, Campo nell’Elba, Porto Azzurro. Spero di rivederli non
appena questa buriana sarà passata. Ma vedo strade vuote; non girano
soldi, la gente che entra da me ha visi sofferenti. Credo che ci vorrà
del tempo per riprendersi da tutto questo. Prima ci lamentavamo dei
problemi di allora; visti quelli di oggi, ci metterei la firma perché
ritornassero. Poi c’è il fattore psicologico da non sottovalutare. Prima
si scambiavano due battute, ci si raccontava la vita. Ora con il
distanziamento sociale le persone hanno perso il contatto umano. È
cambiato il mondo”. Alla Sghinghetta c’è il negozio “Fuori centro,
pizzeria e panetteria” di Cristiano Pieruzzini. “Sono stati due mesi
infernali – ci riferisce – eppure siamo aperti al pubblico. Con il forno
ho perso il 40 per cento dei ricavi, ma siccome ho in gestione anche il
bar Bristol le perdite sono state del 100 per cento. Si va avanti
perché si deve andare avanti, ma se non ci sono gli incassi, come faremo
a pagare le tasse comunali, l’occupazione del suolo pubblico e la
spazzatura che ci viene richiesta? In più c’è stato imposto di
provvedere a tutta l’attrezzatura antivirus da mettere all’ingresso del
negozio, quindi altre spese. Tutto questo è stato detto da una
delegazione di commercianti agli amministratori, ma qui ci vogliono
fatti e non parole. Ci vuole un atto concreto del governo di Roma”.
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