Portoferraio (Isola d'Elba) - E lo scavo archeologico di San Giovanni alla fine, dopo cinque campagne già effettuate, ha restituito anche i resti di un corpo umano. Non solo dolia, dunque.
Uniti a frammenti di materiale edile appartenuti alla villa rustica romana (attorno al 100 a. C.) .
«Ora ci scappa pure il morto – ironizza Franco Cambi docente di archeologia presso l’Università di Siena e principale ideatore dello scavo nel podere della famiglia Gasparri – Oggi come oggi è prematuro azzardare qualsiasi ipotesi. Non sappiamo neppure se si tratta di un corpo maschile o di una donna. Lo si capirà quando riusciremo ad andare avanti nel recupero e potremo arrivare al bacino».
Per prime sono state portate alla luce le ossa degli arti, le gambe e le braccia stese. «Da quello che ci è dato sapere – continua ancora il docente universitario originario dell’Elba – non doveva essere molto alto. Ci troviamo di fronte a un individuo di circa un metro e 50 centimetri circa. Attorno non è stato ancora rinvenuto nulla di interessante».
Il ritrovamento di un cadavere sepolto fra i resti di quella che a tutti gli effetti appare come una villa di campagna franata per un grande incendio che l’ha devastato definitivamente (la villa fu dopo questo periodo abbandonata per sempre) è davvero eccezionale, considerato che una scoperta del genere non era mai stata effettuata nei precedenti scavi nel podere di San Giovanni. Ciò è stato possibile anche grazie all’apporto delle nuove tecnologie impiegate in questo scavo, fra queste il magnetometro, lo strumento che è in grado di misurare il campo magnetico di una particolare area destinata alla ricerca.
«Morto a causa del crollo della villa e sepolto tra le macerie? Non mi sentirei di affermare una cosa del genere – continua sempre Franco Cambi – Può darsi che la datazione della morte sia da riferirsi a qualche decennio dopo l’evento disastroso. L’uomo è morto e sepolto tra le rovine della villa rustica. È stato adagiato in una piccola fossa e neppure tanto profonda. Nessun altro ornamento funebre. Tutto ci lascia pensare che siamo dinanzi a un individuo di bassa condizione sociale».
Come è stata rinvenuta la tomba così estemporanea e anche abbastanza improvvisata, creata sul momento, ci fa pensare a un evento abbastanza circostanziato e dettato dalla necessità di non avere molto tempo a disposizione per curare ulteriormente i resti di un uomo.
Come se gli altri componenti del gruppo al quale il defunto apparteneva avessero urgenza di recarsi altrove e di lasciare quel luogo. In fuga da chi o da che cosa? Oppure non disponessero di altre risorse. Una buca poco profonda. E gettati sopra il corpo rottami di costruzioni, crollati (questi sì) per effetto di un disastroso incendio. Intanto sono iniziate le analisi dei resti che potranno fornire altre e più interessanti informazioni.
«Sapevamo che la villa rustica era abitata – conclude Franco Cambi – Ora ci troviamo dinnanzi a questo recupero, che però non sconvolge affatto le tesi che avevamo redatto attorno a questo insediamento rurale romano di San Giovanni. Semmai lo arricchisce». (da "Il Tirreno" di Livorno)
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venerdì 6 ottobre 2017
domenica 24 settembre 2017
La ministra Pinotti sale a bordo della Vespucci
Quella che doveva essere una visita al
di fuori del protocollo istituzionale, è finita per rivelarsi un
segreto di Pulcinella. Ci riferiamo alla venuta all'Elba del ministro
della Difesa Roberta Pinotti, compiuta il 22 settembre scorso. Non
era stato dato l'annuncio agli organi di stampa. Tutto doveva doveva
avvenire nel più stretto riserbo, per ragioni di sicurezza
nazionale. Doveva essere una sorpresa, benché settimane prima un
grosso elicottero della Marina militare avesse sorvolato da vicino
Portoferraio e compiuto sul capoluogo elbano diversi giri di
ricognizioni. Alla fine si è venuti a sapere che l'elicottero
militare aveva effettuato un sopralluogo, per capire e quindi
scegliere il sito migliore su cui atterrare, visto che avrebbe
trasportato un personaggio importante del governo italiano. Oltre le
supposizioni, comunque non si era andati. Fino a quando, a poche ore
dall'arrivo dell'elicottero all'aeroporto di Campo nell'Elba, non si
è capito che si trattava della ministra Pinotti, responsabile del
Dicastero della Difesa. In visita e per fare un saluto di cortesia
all'equipaggio della nave scuola Amerigo Vespucci, alla fonda in
rada. Doppia circostanza favorevole per l'Elba: il ritorno dopo anni
di assenza della Vespucci che, comunque sia, attira sempre e
costantemente l'attenzione sia dei residenti sia dei numerosi ospiti
che tutt'ora si trovano sulla maggiore isola della Toscana, mancava
da questi parti da diversi anni, sia la venuta (sebbene di poche ore)
dell'onorevole Pinotti. Tutto questo è avvenuto il 22 settembre, al
molo Elba, dove, la mattina stessa il sindaco di Portoferraio Mario
Ferrari aveva presieduto alla cerimonia di commemorazione delle
vittime del piroscafo Andrea Sgarallino. E alle 16 e 40 allo stesso
molo si è imbarcata sul mezzo della Capitaneria di porto di
Portoferraio la ministra per raggiungere la Vespucci e quindi salira
a bordo per i saluti di circostanza. Nessun giornalista è stato
accreditato a filmare l'evento; nessuno ha potuto quindi registrare
quanto si è svolto a bordo della nave orgoglio della Marina
militare. Ma veniamo alla cronaca della giornata per gli attimi che
ci è stato possibile seguire. La ministra della Difesa Roberta
Pinotti è arrivata all'Elba intorno alle 16 di ieri. La responsabile
del governo è atterrata all'aeroporto di Marina di Campo con un
elicottero della Marina Militare. Ad attenderla il comandante della
capitaneria di porto Riccardo Cozzani e il capitano della compagnia
elbana dei carabinieri Antimo Ventrone. La ministra ha attraversato
la pista ed è salita, scortata, a bordo di una delle auto di stato
in attesa all'esterno della stazione aeroportuale campese. Il
trasferimento a Portoferraio è stato pressoché immediato. La visita
del responsabile del dicastero della Difesa, di natura tecnica, non
ha previsto momenti pubblici e incontri con le istituzioni locali.
Intorno alle 16,30 il molo Elba di Portoferraio era presidiato per
motivi di sicurezza da numerosi uomini della capitaneria, carabinieri
e polizia di Stato. La ministra è scesa dall'auto blu sorridente,
scambiando un veloce gesto di intesa con le autorità militari che la
attendevano e salutando i tanti cittadini e turisti che, nel
frattempo, si erano radunati a poca distanza dalle imbarcazioni della
Capitaneria e della Marina accostate sul molo. Pinotti ha raggiunto
la Vespucci, accompagnata dal capo di Stato Maggiore della Difesa,
generale Claudio Graziano e dal capo di Stato Maggiore della Marina,
ammiraglio Valter Girardelli. Successivamente ha visitato anche le
altre unità navali ancorate in rada e ha salutato gli equipaggi, gli
allievi ufficiali e sottufficiali. Nella giornata successiva,
l'onorevole Pinotti ha premiato i militari che hanno partecipato alla
gestione dell'emergenza dell'alluvione di Livorno. Tre giorni la nave
scuola Amerigo Vespucci è stata alla fonda in rada. Ed ha destato
grande attenzione e attirato molti ammiratori. Assieme alla Vespucci
le altre unità navali della Marina, Luigi Durand de la Penne,
Palinuro, Orsa Maggiore, Corsaro II e Caroly. Portoferraio è stato
il primo porto italiano toccato al termine di un lungo viaggio nel
Mediterraneo, nell'oceano Atlantico, nord America, Mar Egeo e Mar
Nero.
mercoledì 13 settembre 2017
Intervista a Sergio Carlotti sulla rivolta al carcere di Porto Azzurro
PORTO AZZURRO
Trent'anni dalla fine di quell'agosto e
neppure sentirli. Se non, forse, nel fisico un po' appesantito
rispetto a quello che aveva a 34 anni appena compiuti. Se non lo
tradisse poi l'espressione del viso di persona matura, rispetto a
quella invece di giovane laureato che segue la moda e che amava
suonare, insieme ai suoi coetanei liceali e universitari, nel
complesso bit, esibendosi nei vari locali notturni dell'Isola. Ma per
il resto è rimasto lo stesso, Sergio Carlotti. Alto, occhialetti da
lettura e, nel 1987, sulle tempie una lievissima sfumatura di capelli
bianchi, nella folta criniera nera, che oggi è solo un ricordo.
Insomma un'aria professionale, propria di chi è calato nel ruolo in
cui crede, quello di medico della Casa di reclusione più famosa
della Toscana e oltre. “Quando Tuti entrò in Infermeria –
ricostruisce – mi scambiò per il sindaco di Porto Azzurro”. Che
successo sarebbe stato per il sequestratore di Empoli: in un colpo
solo avrebbe disposto del direttore dell'istituto Cosimo Giordano e
del sindaco di Porto Azzurro. Ma non fu così. “Lo dovetti smentire
– continua il dottore portoferraiese – Tuti non commentò oltre.
In quel momento aveva altro cui pensare”. La memoria di quei giorni
è sempre fresca in lui. Il medico non ha rimosso nulla degli eventi.
“Ho ripreso la vita di sempre – ammette, guardando alle settimane
subito dopo il sequestro – Sono rimasto al mio posto di medico del
carcere. Che è la mia missione”. E lo è tutt'ora, come quel 25
agosto, quando aprì il cancello di ferro per far entrare Tuti e
compagni. “Intuii che stava succedendo qualcosa d'insolito – dice
– da un colpo di pistola esploso d'abbasso, nel cortile. Poi arrivò
la telefonata e le cose cambiarono”. Entrarono in due gruppi
distinti. E Tuti, che sembrava il leader dei rivoltosi, agitava in
una mano la pistola e nell'altra una scatola di latta, del tipo di
quelle che si usano per conservare il tonno. Diceva esserci dentro
dell'esplosivo, una bomba artigianale. “Non mi sfiorò neppure in
un attimo la paura di non farcela – ammette – La mia vera
preoccupazione fu come dirlo a mia madre, senza impressionarla
ulteriormente. In quel periodo le sue condizioni di salute non erano
molto buone, sicché decisi di chiamarla quella sera stessa, la prima
del sequestro, e le dissi di non aspettarmi per cena ché avrei fatto
tardi”. A quell'epoca Carlotti viveva ancora con i genitori a
Carpani ed era al primo vero tirocinio della professione.
Successivamente, avrebbe vinto il concorso di cardiologia e fu
assunto stabilmente presso l'ospedale civico di Portoferraio. “Ma
ho continuato a tenere l'incarico nel penitenziario di San Giacomo”,
ammette. “Quando mi presentai agli esami del concorso, il cuore mi
batteva a mille. L'adrenalina la stava facendo da padrone nel mio
corpo. Sentivo i capelli ritti in testa. La stessa, identica
sensazione che provai nei primi momenti del sequestro. Poi all'epoca
tutto si acquietò e il mio corpo si adattò alla nuovissima
situazione. Allora pensai: 'Ma come? Sono riuscito a superare quei
difficilissimi momenti in cui la mia vita era in pericolo e adesso
non riesco a controllare le emezioni, che non sono così drammatiche
come durante il sequestro'. Appena fatto questo ragionamento, sentii
all'improvviso che il cuore cominciava a battere regolarmente. La
situazione si stava normalizzando”. Un altro effetto positivo
dell'esperienza vissuta sotto la minaccia della rivoltella di Tuti fu
la sicurezza che dimostrava quando entrava nelle celle, a visitare i
detenuti che non erano riusciti a raggiungere l'Infermeria.
Generalmente i dottori che lo avevano preceduto nell'incarico erano
accompagnati da uno o più agenti di custodia. Lui invece si
presentava da solo, con indosso il camice bianco, l'immancabile
valigetta e il fonendoscopio che gli penzolava sul petto: il suo pass
partout, il biglietto da visita. Era la reazione all'avventura
vissuta nell'Infermeria, sotto la minaccia delle armi? Può essere.
Fatto sta che Carlotti da allora assunse una maggior sicurezza.
Durante la settimana del sequestro dormiva in cella, insieme con
altre due agenti. “Un detenuto che all'interno del carcere aveva
molta considerazione – rivela il medico – fu Facchinieri. E'
stata una fortuna averlo in Infermeria. Mi ha fatto da padre e io mi
sentivo più protetto”. Ci fu anche un momento di tensione quando
dal soffitto cadde della polvere e si avvertirono dei rumori. Erano i
corpi specializzati che si schieravano per un intervento che si
sarebbe risolto con spargimento di sangue. “Dopo la richiesta non
andata a buon fine della macchina blindata del direttore – dice
Carlotti – spuntò l'ipotesi dell'elicottero. Tuti mi disse che se
fosse arrivato, io sarei stato fra gli ostaggi, avendo la stessa
altezza dei sequestratori. Tutti con il cappuccio per non essere
riconosciuti. Ma ci rendemmo presto conto che non sarebbe mai
arrivato. Invece trovava terreno fertile la trattativa avviata dal
direttore Giordano. 'Se me lo concedono – gli disse Tuti – starei
bene a Pianosa o a Montecristo'”. Gli confidò. Fu il segnale che
la trattativa aveva imboccato la strada giusta. Tuti gli rivelò la
sera prima della liberazione che avrebbe fatto esplodere le bombe
rudimentali fuori dalle inferiate. “In segno di gioia, come scoppi
d'artifico”. “Lo dissuasi. Ci sarebbe stato troppo rumore”.
Sergio Carlotti uscirà dall'Infermeria fra gli ultimi, dietro di lui
solo Cosimo Giordano.
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