
Chi si ricorda più all’Elba (esclusi familiari e una ristretta cerchia
di amici) di Giuseppe Cecchini, classe 1904? E dell’impresa di cui si
rese protagonista nell’ultima guerra? Un eroe sconosciuto a tutti gli
effetti. Né sarebbe stata tramandata la frase pronunciata così
perentoriamente davanti al plotone d’esecuzione tedesco da scoraggiare
il tenente nell’impartire l’ordine di sparare su un campione di folla
inerme, sequestrata a caso e schierata a titolo dimostrativo sul sagrato
della chiesa di Sant’Andrea di Castiglioncello del Trinoro, nel comune
di Sarteano tra Siena e Arezzo, se nessuno l’avesse riportata. “O tutti,
o nessuno!”, gridò Giuseppe Cecchini, in quell’assolata mattina del 14
giugno 1944. E il miracolo incredibilmente avvenne. Si abbassarono le
canne dei MP 38. Le mitragliatrici tacquero, immerse in un silenzio
surreale. E tutto il paese fu salvo. Se oggi rivive nel senese il
ricordo di quei fatti, lo si deve a una pagina ingiallita di un’agenda.
L’ha vergata un prete, testimone oculare; anche lui sopravvissuto. Don
Enrico Bellucci, parroco di Castiglioncello, dopo essersi ripreso
dall’aver visto la morte in faccia, affidò al diario l’impresa del
soldato semplice elbano. Nulla poté invece per due ragazzi, Amerigo Bai e
Quirino Salvadori, che persero la vita in quella terribile giornata,
sotto le pallottole naziste. I loro nomi sono incisi in una lapide,
sotto la quale ogni anno, il 16 giugno, si ripete la commemorazione.
Scarne ed essenziali le notizie sulla vita di Giuseppe Cecchini. Si sa
che era nato a Rio Marina il 10 ottobre. All’epoca dei fatti non aveva
ancora compiuto 40anni. Prestava servizio come soldato semplice a
Castiglioncello. Maledettamente proprio su quella linea immaginaria che
attraversa gli Appennini, passata alla Storia come ‘Linea Gotica’ che
divideva in due l’Italia. Nelle intenzioni del comando germanico lungo
questo fronte si sarebbe dovuta ricompattare la Wehrmacht, dopo che gli
alleati erano entrati a Roma il 5 giugno 1944. La manovra, secondo il
generale tedesco del fronte sudovest Albert Kesselring, doveva essere
una ‘ritirata combattuta’, allo scopo di permettere il rafforzamento
della linea degli Appennini. I tedeschi erano dichiaratamente sulla
difensiva, occupati su due fronti. Davanti avevano gli alleati che
risalivano passo passo la Penisola. Alle spalle, sulle montagne, erano
attaccati invece da brigate partigiane. Un cocktail perfetto, che farà
montare all’inverosimile la rabbia e il furore assassino teutonico. È
quanto stava per abbattersi su Castiglioncello. A questo destino,
purtroppo, non si sottrarrà, quasi un mese dopo, la popolazione di
Sant’Anna di Stazzema, sempre sull’Appennino toscano, dove furono
passate per le armi 560 persone fra vecchi, giovani, donne e bambini.
Giuseppe Cecchini parlava perfettamente la lingua tedesca, dato che era
stato in Germania e vi aveva lavorato per diversi anni. Però prima dello
scoppio della guerra e dell’entrata nel conflitto mondiale dell’Italia,
Giuseppe era rientrato all’Elba. Si era arruolato nell’esercito
Italino, finendo con l’essere impiegato con il suo reparto a Sarteano..
“Nonostante che all’epoca dei fatti fosse padre di 5 figli, Plinio (mio
cognato), Vilmano, Vito, Ivano e Lorena – dice Rocco Zoccoli, presidente
della sezione provinciale dei Bersaglieri – di fronte a quella
particolare circostanza Giuseppe non si tirò indietro, lui che era una
persona sì semplice, ma anche coraggiosa e di temperamento, come sanno
esserlo gli elbani. Sentiva dentro che doveva fare qualcosa di fronte a
cotanta tracotanza, come se una voce interiore glielo comandasse. Allora
si mise anche lui difronte al plotone di esecuzione, urlando quella
famosa frase che il sacerdote di Castiglioncello puntualmente annoterà
sul diario. Con il suo comportamento salvò tutti dalla fucilazione,
compreso suo figlio poco più che adolescente”. Se l’Elba non sa nulla
del ‘suo’ eroe sconosciuto, altrettanto non si può dire degli abitanti
di Castiglioncello. Che, esattamente un anno dall’accaduto, murarono un
marmo. Dove si legge: “Il popolo di Castigliocello/ festeggia ogni anno/
il 16 giugno 1944/ e grazie renderà a Dio per averlo salvato/ quando la
ferocia tedesca si scatenò sul paese/ scolpiti nell'anima porterà i
nomi/ di/ Bai Amerigo e Salvadori Quirino/ vittime innocenti di quel
giorno/ riconoscente affetto serberà all'interprete/ Cecchini Giuseppe/
che con coraggio e fermezza/ si adoprò per limitare/ l'ingiusto e
barbaro eccidio”. E poi, ogni anno, presso questo borgo sulla Val
d'Orcia, si ripete la cerimonia commemorativa di quella giornata
promossa dall’amministrazione di Sarteano, in collaborazione con la
sezione Anpi. E in uno di questi tradizionali appuntamenti si sono
ritrovati con qualche ruga in più sul viso Dino Salvadori e Vilmano
Cecchini, figli rispettivamente di Quirino Salvadori, una delle vittime
e Giuseppe Cecchini, il soldato elbano che eroicamente si fece da
interprete per fermare l'eccidio. Cecchini riuscì a spiegare che quelli
che stavano per essere fucilati non erano altro che civili inermi e
innocenti. Non c’era alcun rischio che fra questi si nascondesse qualche
‘bandito’ (come i tedeschi battezzarono i partigiani). Ivano
Cecchini, l’unico dei 5 fratelli morto, tornò durante una ricorrenza a
Castiglioncello. Dopo quasi settant’anni, i due bambini di allora si
ritrovarono faccia a faccia. Il figlio della vittima e il figlio
dell’eroe isolano. “Mi piacerebbe fosse ricordato anche qui con una
semplice cerimonia – dice ancora Zoccoli - Magari coinvolgendo i sindaci
di Rio e Portoferraio, visto che per 40 anni risiedette alla
Sghinghetta. Credo e spero – conclude - che qualcosa si muoverà”.